sabato 30 giugno 2007

A Snake of june, di Shinya Tsukamoto (2002).

Quarto lungometraggio importante (ma ne ha fatti ben di più) dopo Tetsuo: the iron man (1989), Tokyo Ken (1995) e Bullet Ballet (1998), questa pellicola, premio speciale alla mostra di Venezia del 2002, è prima di tutto uno dei più convincenti film sulla fotografia che abbia visto fin’ora e in particolar modo sull'uso di tipo compensativo e catartico, a livello psicologico, che se ne può fare.

L’intera pellicola, al di là del racconto vero e proprio, sembra giocare simbolicamente e come struttura sulla visione e il riconoscimento di sé stessi secondo un senso ormai diffuso di sdoppiamento e quindi spesso solo attraverso l'occhio della macchina fotografica: unicamente mediante la continua rappresentazione di noi stessi intesa come specchio impietoso.

L’intera pellicola è girata in bianco e nero e virata blu, propriamente in blu e nero, molto sgranata, probabilmente per sottolineare ancora una volta l’effetto di analisi ed ingigantimento della realtà propri del mezzo fotografico, secondo la sana tradizione che va da Blow Up in poi. L’uso emotivo del colore in questo film ricorda i migliori e più audaci esperimenti di Kurosawa, non a caso altra fonte d’ispirazione del regista, soprattutto mi fanno venire in mente quel gioiello che è Dodes’ ka-Den (1970, in cui i verdi che contaminano letteralmente l’ambiente restituiscono l’angosciosità di un mondo completamente alla deriva, sia fisiologica che psicologica.

E’un Antonioni del cinema giapponese questo Shinya Tsukamoto, che produce i suoi film integralmente, vecchio stile, curandone ogni aspetto: la fotografia, l’illuminazione, il soggetto e la sceneggiatura, arrivando a montare individualmente ogni film. Un vero filmaker, spesso anche attore nei suoi film, apparentemente incurante delle caratteristiche industriali della sfera del cinema e amante delle atmosfere cupe e Cyberpunk dei film di Cronenberg (e si vede).

Una coppia curiosamente assortita comprende una giovane e bellissima donna, Rinko, (splendida Asuka Kurosawa), impiegata in un centro di igiene mentale e suo marito, Shigehiko, un uomo molto più anziano di lei, insignificante e anonimo, vittima delle proprie manie, tra le quali un folle bisogno di igiene a tutti i costi e la vera e propria paura del proprio organismo e dei propri umori. Tra i due coniugi in ogni istante del film traspare sentimento, in particolare (ed incomprensibile) modo da parte di lei, che ha cercato forse in quest’uomo qualcosa di rassicurante di cui aveva bisogno, ma la vita dei due sembra anche rassegnata ad una soffocante monotonia, alla freddezza e alla totale mancanza di scambi d’affetto e di una qualunque forma di sessualità. Tutta questa mancanza di vita, il costante contatto con la sofferenza e la follia altrui (anche la madre del marito è pazza e lui non è proprio normale), fanno ammalare la giovane di tumore al seno. A quel punto un fotografo, interpretato dallo stesso Tsukamoto, al quale lei ha salvato forse la vita o che comunque l’aveva contattata telefonicamente restandone colpito, avendo compreso, dato che anche lui è malato di cancro, il suo malessere, inizia un gioco sadico e inizialmente molto perverso di liberazione della libido della donna, costringendola, attraverso un “ricatto fotografico”, a mettere in pratica i suoi desideri più segreti (intendo quelli di Rinko). La vicenda si svolge per tutta la prima parte del film in un’atmosfera sospesa, di vera angoscia, amplificata dalle immagini di un’anonima metropoli giapponese malata e piovosa, grigia e soffocante, vista sempre e solo nei dettagli e quasi mai per intero. Questo tipo di visione, molto frammentaria e puramente fotografica, porta in ascesa la tensione dello spettatore calando i personaggi in posti assurdi e irriconoscibili, come la fabbrica in cui una serie di uomini in giacca e cravatta sono costretti, attraverso monocoli, ad osservare scene di morte o di violenza, in un clima che non è possibile ricondurre né alla finzione, né alla realtà. Alla fine il fotografo, testimone del suo stesso dissolversi, si trasformerà da persecutore in una specie di angelo vendicatore (altamente simbolici sono il bacio che dà a Shigehiko prima di punirlo per la sua cecità, o i tentacoli di plastica nei quali sembra lo voglia strangolare), che farà capire ad entrambi, ma soprattutto al marito sopito, l’importanza di ognuno di essi per l’altro e venire alla luce, sia pure bruscamente, la loro bellezza. L’uomo amerà il corpo non più perfetto della donna, liberatosi da tutte le sue distruttive ossessioni, in un conclusivo e liberatorio atto carnale. Un lieto fine dunque, anche se tirato per i capelli e che non lascia tranquilli, anzi, che fa pensare alla fragilità umana, alla follia e a quanto poco possano durare i momenti di felicità che spesso non si è nemmeno in grado di autoprocurarsi. Un finale che non concede sicurezze nemmeno dopo l’ultimo dei titoli di coda.

A Snake of June è un film che consiglio di vedere, in nome dell’originalità delle forme, per il profondo senso estetico, per non rischiare di diventare troppo trappola di sé stessi, per non avere paura delle contaminazioni. Anche questa una pellicola estrema che o piace o non piace, ma almeno viva e di sicuro effetto, vera antitesi del patinato.

Millennium Actress (Chiyoko Millennial Actress), di Satoshi Kon.


Un mio amico mi ha fatto presente l’esistenza di questo nuovo guru dell’animazione giapponese di cui non sapevo quasi nulla fino a poco tempo fa. Decisa dunque a farmi una cultura filmografia su di lui ho cominciato col vedere questo suo secondo lungometraggio animato che si è rivelato comunque totalmente inaspettato, in special modo per la sua forma.

La storia è presto detta: in occasione della demolizione degli studi cinematografici Ginei, il regista Genya e il cameraman Kiyoji decidono di realizzare un documentario dedicato all'attrice più rappresentativa di tali studi: Chiyoko Fujiwara. La donna, ormai anziana e ritiratasi dalle scene, accetta di essere intervistata dai due; durante l'incontro Genya restituisce all'attrice una misteriosa chiave, oggetto a lei molto caro ma creduto perduto da tempo. Anche grazie ai ricordi fatti scaturire dal ritrovamento del prezioso oggetto (che diventa in maniera piuttosto prevedibile chiave della porta del tempo), Chiyoko inizia a narrare la sua storia, in cui la carriera d'attrice si lega indissolubilmente all'amore idealizzato per un giovane pittore conosciuto fugacemente e mai dimenticato. Nel corso del racconto, la memoria della donna confonde la realtà con la finzione dei film da lei interpretati e così un'unica storia d'amore e di vita vissuta viene narrata attraverso diverse epoche, luoghi e ruoli. La Storia con la S maiuscola diventa allora quella di una sola persona, e viceversa. Quella che viene raccontata, attraverso una struttura temporale e spaziale assai articolata ed originale, è alla fine la storia dell’eterna ricerca dell'amore, anzi, del senso dell’amore più che altro in quanto ricerca di altro da sé, ma attraverso un millennio di Storia giapponese. I piani narrativi e temporali variano continuamente con l'avvicendarsi delle ambientazioni e delle epoche storiche e la cosa che forse mi ha colpita di più, più della storia in quanto omaggio al cinema, all’arte e alla recitazione, è proprio questo senso del tempo che ne deriva, estremamente dilatato, reiterato, manipolato e sconvolto. E’ un tempo che ti si incolla addosso, che si trasforma in residuo percettivo e che permane anche dopo che l’anime è bello che finito. Un tempo centripeto, reso perfettamente, trascinante e vorticoso nella vicenda, ma anche nella visione del film, che si rivolge letteralmente su se stesso, che dà la netta sensazione del ricordo, in un eterno confondersi tra i tempi. Guardare questo film è stato un po’ come entrare in una spirale…particolarissimo, ed ennesima testimonianza di quale efficiente manipolatore della temporalità possa essere il cinema o l’audiovisivo in generale. In quanto attrice, la protagonista Chiyoko non può che raccontare la sua storia personale attraverso i film da lei interpretati: storici, melodrammatici, di guerra, di fantascienza, ma con innumerevoli virtuosismi di regia, il racconto passa dall'epoca dell'espansionismo militare giapponese (realmente vissuto da Chiyoko in gioventù) all'epoca del Giappone feudale (ovviamente vissuto soltanto nei film), al periodo Meiji, al futuro, agli anni ‘50, in un avvicendarsi di finzione filmica e realtà storica che, nella memoria dell'anziana donna, sono una cosa sola. É l'amore che muove la storia di Chiyoko: tutto è spinto dalla passione in questo film e la stessa vicenda narrata perde importanza di fronte al sentimento d’amore assoluto che la sintetizza e che in effetti il film comunica, talvolta esagerando.

Di questa intensa narrazione, il regista e l'operatore non sono semplici ascoltatori: con una felice e divertente trovata, anche i due intervistatori si trovano sempre nel bel mezzo dell'azione, anch'essi attori in questa “Storia di tutte le storie”. Al termine dell'intervista, la Storia con la S maiuscola e la storia personale di Chiyoko si incontrano nel presente, che è soltanto un punto di partenza per un nuovo futuro, simboleggiato dal ritrovamento della chiave perduta che Genya restituisce alla donna. Tale futuro vedrà di nuovo l'incontro tra la finzione e la realtà. Alla fine, infatti, ciò che emerge dalla storia di Chiyoko (sia il suo passato raccontato che il suo presente e futuro) è lo scorrere della Storia e della vita e di conseguenza anche l'ineluttabilità della vecchiaia e della morte, ma nella visione ottimistica e circolare di Kon, la morte non è che un nuovo inizio e una diversa prosecuzione di quella stessa ricerca d'amore che aveva sempre mosso e portato avanti la vita di Chiyoko.

Pur non eccelsa, l'animazione di Millennium Actress è comunque di ottimo livello, ma quello che più colpisce dell'aspetto visivo del film è la grande bellezza dei fondali e la genialità di certe scelte cromatiche ed artistiche. Mi riferisco soprattutto alle scene in cui Chiyoko attraversa la Storia camminando attraverso quadri, stampe, immagini, riproduzioni disegnate di foto in bianco e nero (illuminate solo da alcuni sprazzi di colore, ad esempio il bianco-rosso delle bandiere giapponesi), pitture in stile primo novecento per il periodo Meiji, e così via. Curiosa anche la colonna sonora del compositore techno-electro Susumu Hirasawa, spesso in contrasto con le immagini.

In conclusione il film non nasconde certo le proprie alte ambizioni e ci è mancato poco che non diventasse un cervellotico e presuntuoso esercizio iper-intellettualistico, ma per fortuna resta in primo luogo un appassionante film d'amore e avventura, con molte belle trovate visive, qualche alleggerimento comico e nessun momento di noia. Certo, è un film che si può gustare appieno solo se si mette in moto il cervello, ma anche senza capirne tutte le sottigliezze e le simbologie, è assicurato un bello spettacolo, senza dubbio intelligente. Resta il sospetto di un po' di compiacimento, il film può non piacere proprio perché più che agire a livello di sceneggiatura, lo fa su un piano simbolico e temporale, ma ha comunque la mia opinione positiva.

Campeggio Gaio, Happy Campers o Maials Camping: la parodia di un film sull'adolescenza, che non è una parodia!


Questo che ho visto per caso è sicuramente il film di uno che si è alzato un giorno la mattina e ha deciso di costruire un'intera pellicola su due semplici proposizioni: "un sorriso è un sorriso" e "la vita è una fregatura", vale a dire: il tautologico all'ennesima potenza. Di fronte a questa pellicola una volta di più mi chiedo: perché tale Daniel Waters, al suo esordio, ha tutti questi soldi da buttare letteralmente via per produrre un film esteticamente bello quanto assolutamente inutile?! Com'è possibile che si riesca ad essere così mancanti di talento a livello da non riuscire nemmeno a raccontare una storia con un minimo di criterio logico? Il terribile sceneggiatore del film avrà letto qualche fiaba, qualcosa che abbia una concatenazione causa-effetto, da piccolo?

Mai visto un prodotto (sul serio, mai!) con una così totale mancanza di struttura, assolutamente incapace di trasmettere qualsivoglia emozione e in cui sentimenti e relazioni amorose fossero espresse talmente male. Ogni evoluzione nelle vicende sentimentali dei protagonisti rovina letteralmente su se stessa: degli sviluppi relazionali si illustrano solo le conseguenze o le si intuiscono da molto lontano. La pellicola dà l'idea allucinante e non voluta di un film visto da qualcuno che salta qua e là dei pezzi e ne ricompone frettolosamente il senso. Ogni avvenimento precipita nella storia come se gli stessi personaggi ne fossero già a conoscenza e non si potessero nemmeno stupire o non ne fossero mai realmente sconvolti. Anche di sessualità si parla a caso, non ci si ironizza e non la si prende nemmeno sul serio, proprio sulla scia del "né carne né pesce". Che orrore…bah, forse ho sbagliato ed era un film dell'orrore…allora me ne accorgo solo adesso, mea culpa! L'orrore di film di terribili che vengono prodotti uno sull'altro, mentre c'è gente qui che non riesce nemmeno a finire i suoi lavori. Che tristezza, ho addosso tutta l'angoscia di chi spende 20 euro per un libro pessimo: è un'amarezza ce non ci si toglie più di dosso!

Ricapitolando: un film che non parla di sentimenti, né di problemi, in cui nonostante discorsi molto superficiali non c'è né un ordine da corrompere, né un disordine da costituire. Solo caos e casualità, all'infinito, un pizzico di surrealtà sparsa qua e là, un po' di droghe, molta schizofrenia, non si vedono adulti, non si scorgono adolescenti e nemmeno i loro stereotipi.

Geniale, un film sul niente che parla di niente, che non riesce nemmeno ad essere erotico o un po' porno, un film da niente, ma confezionato come un cioccolatino Rocher (ed è questa la cosa che mi spiego di meno). La bellezza della fotografia è un insulto alla bruttezza del film e arriva, proprio per questo, a stonare pesantemente e dunque è anch'essa da bocciare. Questo film sarebbe dovuto essere girato a casa di una tredicenne con una MiniDV e si sarebbe detto dell'adolescente, che non era portata.

Pessimo.

lunedì 25 giugno 2007

World of Predatorcraft

Cinema e videogiochi si fondono ancora una volta.Girato, montato e interpretato da alcuni miei compagni di gilda, vi presento Predator reinterpretato in chiave WoWiana. Enjoy. :)



Il link su WarcraftMovies.com e su Digg.com.

Mazinga Zetto!

Ahahah, meraviglia, ormai lo guardo ogni ora o giù di lì.
Non so quanti di voi di siano nati e/o cresciuti a Genova, ma questa parodia genovese di Mazinga Z è fantastica.
E non preoccupatevi se non capite il dialetto genovese, ci sono i sottotitoli.

martedì 19 giugno 2007

Politics, di Adam Thirlwell


Dunque dunque…questo libro me lo prestò una carissima amica ventilandone i discorsi vagamente osceni ed erotici, ma non solo; diffidando allegramente l’ho praticamente divorato.

A quanto ne so questa dovrebbe essere l’opera prima del giovanissimo autore (ventottenne), considerato, dicono, tra i migliori narratori britannici delle nuove generazioni. Il nostro londinese si è dato nel romanzo alla Sex Comedy, ma in maniera del tutto inaspettata, schietta da fare paura e scritta bene, semplicemente (de)scritta bene. Consigliando a chiunque, a tempo perso, di darsi a questa piacevole lettura, quantomeno per saperne di più circa la propria ed altrui sessualità, racconto un po’ di come una storia che sembra appunto trattare inizialmente di fenomeni legati alla sfera del sessuale, tra una serie curiosa di flashback e di flashforeward che sviluppano l’intreccio della vicenda, sia riuscita invece a parlarmi d’amore e di relazioni sentimentali, non solo di coppia. Si potrebbe obbiettare dicendo che forse tutta questa esplicitezza è gratuita, che magari punta proprio allo stupire, ma se si segue davvero la storia di una Nana che paradossalmente, pur essendo un personaggio ben determinato, rappresenta dal mio punto di vista una gran quantità di donne (e forse chissà, anche di uomini), ci si chiede come abbia fatto questo ragazzo a parlare di politica seriamente e in maniera più chiara di qualunque parlamentare italiano, di società, di teatro, di gentilezza e di morale, definendone in gran parte le caratteristiche e semplicemente concentrandosi sul sesso a tre. Politics è un esempio lampante di come le idee si possano costituire in una fitta trama di collegamenti, di connessioni logiche tra le cose e insieme di parole che rendono percepibile uno sguardo attento e pungente sulla realtà. Il narratore ci parla direttamente e in maniera anche molto furbesca, metaletteraria e ci trascina qua e là, dove vuole lui, col dito puntato a farci osservare fenomeni che nei rapporti umani si ripetono sempre, a livello di sia di micro che di macro realtà.

In poche parole direi: un libro esilarante, intelligente, malizioso, alla fine sociologico. Un piccolo lampo di genio e una lettura alternativa per questa estate.

Non piacesse o scandalizzasse, almeno è un libro curioso!

martedì 12 giugno 2007

Napoli Film festival

Per chi è dalle parti di Napoli, la sera del 18 giugno al cinema Filangeri, può vedersi Joel & Ethan Coen fare una marchetta per promuovere il loro ultimo film, No Country for Old Men. Per i fan più feticisti la cosa può essere veramente interessante dato che parteciperà anche Frances McDormand, la poliziotta gravida più famosa della storia del cinema... O forse l'unica?


Swear Jar

forse poteva l'idea poteva essere sviluppata meglio.
ma cmq è f.......divertente

giovedì 7 giugno 2007

This is Living

Sony con PlayStation rivoluzionò il mondo dei videogiochi. Non tanto per i giochi stessi, anche se il 3D fu una novità tutt'altro che di poco conto, ma quanto piuttosto per il modo di pubblicizzare i propri prodotti e, di conseguenza, la percezione del pubblico nei riguardi degli stessi.
Da prodotti per giovani maschi con qualche brufolo di troppo, i videogiochi diventarono non solo un qualcosa di cui non vergognarsi, ma addirittura di cui andare fieri e di cui fregiarsi con orgoglio. Sony riuscì a far piacere i videogiochi a gente che li aveva sempre considerati un qualcosa da sfigati.
Nintendo ha portato avanti ulteriormente questa rivoluzione con le sue console più recenti, Wii e DS, ma ne parleremo in un'altra occasione.

Simboli di questa rivoluzione sono le campagne pubblicitarie sempre più coraggiose e, se vogliamo, sempre più distaccate dal concetto di videogioco vero e proprio. Per il lancio di PlayStation 2, Sony ingaggiò addirittura David Lynch per creare gli spot.
Lo spot che trovate qui sotto è la versione uncut di uno dei tanti che fanno parte della campagna This is Living, lo slogan che ha accompagnato il lancio di PlayStation 3, la nuova console di Sony. Se volete approndire, qui trovate i video degli altri spot.

Il filmato è una piccola gemma di citazionismo meta-ludico, in cui il bello sta nell'individuare quali sono i giochi citati.
E se qualcuno riconosce il pezzo di sottofondo, mi faccia sapere.

mercoledì 6 giugno 2007

ogni famiglia è psicotica


mentre in italì la famiglia è un'entità da difendere da non meglio precisati attacchi, nel cinema indipendente americano è un soggetto da bistrattare e ridicolizzare in tutta la sua assurdità e (diciamolo) follia.
Ora, fare una filmografia dei film che mostrano una famiglia ontologicamente folle nei suoi componenti e organizzazioni sarebbe un lavoro tropo grande.
per ora meglio raccontare brevemente un film come The Squid and The Whale di Noah Baumbach che io conoscevo solo per essere lo sceneggiatore del memorabile The Life Aquatic With Steve Zissou.
La storia parla di una famiglia "intellettuale" in crisi, con due figli di diversa età che affrontano diversi problemi tra cui quello enorme della separazione dei genitori con la conseguente spartizione della loro vita in due case, due strade ecc..

il film ha evidenti e lampanti connotazioni wes anderseniane (???!!), e questo lo avrei detto indipendentemente dal fatto che il film stesso è prodotto da wes anderson. infatti non sopporto i giudizi su un film che vanno ad evidenziare l'influenza del più famoso produttore di turno (ricordo romance&sigarettes di turturro prodotto dai coen...e tutti a dire film coeniano, quando di coeniano ha poco o nulla, ma cmq) ma in questo caso la cosa è talmente lampante ed evidente che non si può non notare.
c'è lo stesso umorismo "sottotono", lo stesso distacco ironico, la stessa ricerca di personaggi al di fuori dal tempo (qui siamo nei tardi '70) e cmq assolutamente riconoscibili e caratterizzati: lo scrittore fallito, il prof, il maestro di tennis, il ragazzino con comportamenti (e vizi) d'adulto.
c'è persino un gioco musicale molto sottile sulla musica dei pink floyd che per certi versi rimanda al bowie in portoghese di zossou..
quello che manca è il genio..l'assuoluta inventiva visiva di anderson, la ricerca dell'immagine giusta, del momento isolato dalla narrazione.

grandi personaggi, belle e divertenti situazioni, alcune trovatone ecc..ecc..manca solo la scintilla per fargli fare il salto di qualità.
rimane un bel film
incompiuto.

vado oltre?
ma nooo.

helvetica

i documetari si fanno anche sui font.

sabato 2 giugno 2007

Omaggio ai cinema minori

Proprio lo scorso weekend si chiacchierava col buon Stefano di come parlare dei filoni cinematografici dell'Europa dell'Est faccia molto figo negli ambienti accademici che contano.
E noi, per non essere da meno, segnaliamo una perla di rara bellezza che ci arriva dritta dritta dalla Turchia... il Rambo turco!



Direi che un "Mamma li turchi!" qui ci sta tutto. Che sia uno dei primi lavori di Ozpecoso?

Splendido il bazooka a munizioni infinite (avrà attivato il cheat) e il ritardo con cui gli attori "muoiono" dopo un'esplosione. Lacrimuccia per gli effetti sonori delle pistole.

venerdì 1 giugno 2007

lost...."avanti tutta"...ffw

la terza serie è finita.
c'è voluto un po' a metabolizzare il finale, che apre nuove strade specie nella narrativa che andrà a giocare non più in "cosa succederà" ma in "cos'è successo".

un colpo geniale ma, secondo me, rischioso..
mooolto rischioso.
ovvero, per tenere in piedi questa nuova linea narrativa ci vuole una scrittura con le palle, senza flessioni.

se finora lost ha avuto alti e bassi, beh, dalla 4 serie non se li potrà più permettere,
vedremo se sanno cioé che fanno.

(già nella season finale, per me il fatto che il mentitore ben, dica la verità mi sembra un piccolo tradimento per lo spettatore..ma ne parleremo)


ah, se "the others" sono i buoni per davvero.
allora attendo con ansia i cattivi!

nota negativa:
jack non morirà.

joost...la tv senza la tv?

i creatori di kazaa prima e di skype hanno rivenduto tutto per investire i soldi nel progetto joost.
e questo fa ben sperare per il futuro, dato che i tipi non ne hanno poi sbagliato molte.
joost è un programma (windows e mac intel) che in teoria dovrebbe portare la tv sul computer, ma in maniera diversa da come fanno le numerose antennine per il digitale terrestre.
joost infatti si ripropone di organizzare a livello globale la streaming tv, dettando nuovi parametri qualitativi e organizzativi.
in poche parole ti colleghi a joost, guardi un po' che canali ci sono a disposizione, ne selezioni uno (che ne so, le notizie della routers) e guardi che video sono disponibili per lo streaming in quella data.

per certi versi è un'evoluzione di democracy ma con la particolarità che in joost non scarichi una ceppa, hai tutto in streaming.

detto questo, l'interfaccia è molto carina, la qualità diciamo più che sufficiente (ma hai bisogno di mooolta banda) e la programmazione..bhé, come per democracy, è un poco misera.
non misera come quantità di offerta, ma come qualità
vi sono alcune chicche, su tutte (per me) il canale che mette in streaming film muti e i vari canali dedicati ai cortometraggi.
ma diciamo che non sarà certo abbastanza per attirare molti utenti.
per il resto avete video musicali a volontà, e vari highlights di sport.

ma cmq credo proprio che finché le major della tv non investiranno su questo progetto, rimarrà sempre marginale. il sogno consiste in avere disponibli serie tv e vari programmi, anche intervallati da pubblicità, ma cmq sempre a disposizione in streaming.
cosa ostaggiata dalle varie tv satellitari e via cavo, ma che però consentirebbe in qualche modo di arginare la pirateria.
per ora siamo ad anni luce da questo e la popolarità di joost risiede secondo me nell'esclusivo invito per poter scaricare la beta del programma..tutti desiderano ciç che non è a disposizione.
invito, cmq, che io ho ottenuto in vie misteriose. e che mi appresto a girare a chi vuole.
basta che me lo diciate in un commento a questo post.
(a delu ho già provveduto, non so quanti me ne sono rimasti di inviti, ma proviamo)

Le vite degli altri

Se ne sentiva proprio il bisogno. Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio e la forza morale di denunciare quel vasto sistema di sopprusi e non rispetto della privacy che si era costituito in Germania dell'est. E chi lo sapeva che la Stasi spiava gli intellettuali dissidenti? E chi lo sospettava che a qualche ministro della DDR poteva non essere sconosciuta l'arroganza? é giunto il momento che la verità venga a galla, che si facciano distinsioni tra paesi autoritari e illiberali vicini all'Unione Sovietica, paesi che ti ritrovi i microfoni in casa, paesi che chi è al potere ha dei privilegi che tu non hai, paesi che per avere successo non conta il talento ma a chi la dai, e il nostro mondo di diritti.
Repubblica e Corriere condividono in pieno la retorica de La vita degli altri; mi pare invece che questa ne costituisca il punto debole. Soprattutto coloro i quali devono ingoiare il rospo di sentire ancora gente che si ostina a sostenere che il capitalismo è più pericoloso del comunismo (tipo gli ultimi due papi), hanno accolto questo film come un'arma in più nelle loro mani. Me li immagino uscire dalle sale con un ghigno di soddisfazione a dire: "Ecco, vedete cosa succedeva là? Visto che avevo ragione?". Per la verità a me la storia del tizio spiato mi faceva venire in mente le intercettazioni, il gossip, i reality show. Mi faceva pensare a cosa succede ai dissidenti oggi dove i mezzi a disposizione dei servizi segreti sono un pelino più avanzati di quelli della stasi; io mi sforzavo di contestualizzare, ma a fare il ministro pappone e ignorante c'hanno messo la cosa più simile a Mastella che esista in Germania! La protagonista femminile invece è un'attrice che si concede al suddetto ministro per arrivare al successo. In questo, effettivamente, la diversità la si avvertiva: si sa che da noi attrici e veline vengono selezionate in base ad infallibili criteri tesi tutti a valutarne talento e bravura.

La storia funziona ed è commovente, il film è ben fatto tanto che si fatica a credere che il regista sia un esordiente (giovanissimo)- i premi vinti sono meritati. Ma per dio, perché ridurlo ad un inutile documentario di rete quattro? o di raiuno?

N-Io e Napoleone,

I nuovi film italiani sono deprimenti. Le pellicole che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutte uguali. Non fanno che parlare di: ragazzo che cresce, ragazza che cresce, coppia in crisi, genitori, vacanze per minorati mentali. Che cosa è successo? Ho amato così tanto il cinema italiano degli anni '60 e '70 e alcuni film degli anni '80, e ora sento che è tutto finito. Una vera tragedia
Quentin Tarantino. Qualche giorno fa.

Probabilmente non si sarebbe divertito neanche con questo “N” di Paolo Virzi, in un’ora e mezza, manco un inseguimento sugli asini o un colpo di sciabola. Ma a me è piaciuto molto.

C’è quella straordinaria capacità della commedia all’italiana di fare Commedia con materiale drammatico. Le forti tensioni sociali, gli amori irrealizzabili, i propositi di uccidere e di uccidersi non sono proposti in astratto o messi sullo sfondo di altri avvenimenti, ma sono lì, dentro la storia narrata ed espressi sullo schermo. E però il tutto è impacchettato da commedia, da storia (con la s minuscola) di persone credibili e reali, che s’incazzano e si scontrano e si sfogano. E funziona. E spesso fa ridere.

La trama è presto detta: L’Imperatore in vacanza forzata sull’isola D’Elba ottiene come scrivano personale, il giovane intellettuale Martino, dedito alle belle arti e anarchico come tutti i ventenni. Il giovine lo odia al contrario degli altri isolani, ma accetta il compito di trascriverne i pensieri, pur di assaporare il piacere di vendicare tutti i morti ammazzati per volere del tiranno. Ce la farà? Certo che no.

Tra gli attori: Auteuil interpreta l’imperatore sconfitto, ed è quasi scontato dire che lo fa magistralmente. Basta mettergli un cappello, ed è la copia sputata. Per di più, parla quel mezzo italiano con forte accento francofono che lo rende credibilissimo.
Mai visto ma la Bellocci recitare così bene. Sarà che per il ruolo di baronessa di Città di Castello, snob ma un po’ cafona, parla il suo dialetto, quindi la voce non scazza come solito.
E l’anarchico Martino è interpretato da Emilio Germano, pure in Mio fratello è figlio unico, che non ho visto, ma le mie amichette sedicenni dicono che lì abbia surclassato il nuovo idolo Scamarcio.

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