giovedì 20 dicembre 2007

giovedì 13 dicembre 2007

Italian Spiderman Trailer

bello vedere l'italia tramite le lenti del cinema di serie B d'esportazione..(e questa è l'associazione che fanno in us...altro che antonioni)

martedì 27 novembre 2007

Hostel Earle

so che son mooolto assente in entrambi i blog (che resusciteranno..attendo la zombi night..)
ma per ora aggiorno a spizzichi e mozzichi solo questo qui.
Hostel Earle

giovedì 22 novembre 2007

la bella italietta razzista

mi son ritrovato a "insegnare" carosello..
ed ecco un nuovo spaccato dei "mitici" anni dei boom..(tanto adorati da quelli della '500..)

lunedì 15 ottobre 2007

riprendiamo un attimo

visto la puntata 3 della seconda serie di dexter....adoro questa serie..

e un grandissimo nuovo coen..a presto più dettagli..

domenica 30 settembre 2007

Tornano le "ordinary people"

Questa settimana è iniziata la seconda serie di Heroes, di cui vi ho già parlato in passato.
La prima puntata non mi ha esaltato, vi dirò. Come del resto non lo ha fatto la prima serie, che ho seguito con piacere nonostante gli alti e bassi e i buchetti di sceneggiatura sparsi qua e là.

Un buon modo di tenersi occupati in attesa che cominci la quarta e ultima (sigh) serie di Battlestar Galactica.

lunedì 10 settembre 2007

Chi manca all'appello?


Di quali super eroi non hanno ancora fatto un film?
Qui trovate il trailer di Iron Man, tratto dall'omonimo fumetto della Marvel, diretto da Jon Favreau. Nel cast troviamo, tra gli altri, Robert Downey Jr., Terrence Howard, Gwyneth Paltrow, Jeff Bridges e Samuel L. Jackson. In uscita negli Stati Uniti a maggio 2008.

martedì 4 settembre 2007

Kevin Smith parla di Red State

È notizia recente che Kevin Smith ha terminato di scrivere Red State, il film horror su cui lavorerà dopo aver terminato Zack and Miri Make a Porno (le riprese di quest'ultimo dovrebbero iniziare a gennaio di 2008, nonostante non sia ancora stato annunciato il cast).
Sul solito /film c'è la trascrizione di un'interessante Q&A riguardo al film che Kevin Smith ha avuto sul forum ufficiale della view askew. A quanto sembra, Red State sarà completamente differente da qualsiasi cosa Smith ha fatto finora. Vedremo, di tempo prima che il film esca ce n'è ancora un bel po'.

sabato 1 settembre 2007

L'Halloween di Rob Zombie

Stanno uscendo le prime recensioni del rifacimento del classico horror degli anni '70 per mano di Rob Zombie. E sono tutt'altro che lusinghiere, diciamolo. /film lo boccia senza infierire troppo, mentre Film School Rejects lo cassa senza pietà.

giovedì 23 agosto 2007

venerdì 10 agosto 2007

un po' di "liste" e classifiche

pure troppe..
rottentomatoes.com si son messi lì han fatto una serie di countdowns che partono dai migiori film di fantascienza, a una lista di 100 (dal peggiore al migliore) film tratti da fumetto a una serie in ordine alfabetico di grindhouse film ec..ecc.
nulla di trascendentale, ma capita di scoprire qualcosa di nuovo

ROTTEN TOMATOES: Grindhouse A to Z

Non lo sapevo!

Dico, non sapevo che Zack Snyder fosse al lavoro sull'ennesimo [tentativo di] trasposizione cinematografica di Watchmen, graphic novel capolavoro di quel genio di Alan Moore.

Alla recente Comic-Con, Snyder ha parlato un po' del film e ne ha rivelato la data di uscita (2009 inoltrato). A quanto pare, non ne farà un film da ragazzini, ma cercherà di mantenere inalterato l'atmosfera oscura, opprimente e adulta del fumetto. Su /film potete leggere qualcosa in più al riguardo.

Inoltre, sempre su /film, c'è un paragone tra i personaggi del fumetto e gli attori scelti per le varie tentate trasposizioni. Ed è notizia recentissima l'entrata nel cast di quel gran pezzo di figliola di Carla Gugino.

Speriamo bene.

Il ritorno di Michel Gondry


Be Kind, Rewind è l'ultimo film di Michel Gondry, il regista che ci ha sorpreso con Eternal Sunshine of a Spotless Mind.

La trama del nuovo film narra di Jerry, interpretato da Jack Black, un operaio che lavora in un rottamaio. Il nostro "eroe" tenta di sabotare una centrale elettrica, convinto che sia la causa dei suoi ricorrenti mal di testa. Ma invece si ritrova con il cervello magnetizzato e distrugge inavvertitamente tutti i film della videoteca di un suo amico (Mos Def). Nel tentativo di conservare l'unica cliente del negozio, una vecchietta non propriamente a contatto con la realtà, i due amici decidono di ricreare una serie di film, tra i quali The Lion King, Rush Hour, Ghostbusters, When We Were Kings, Back to the Future, Driving Miss Daisy e Robocop, usando se stessi e i loro concittandini come attori. E diventano le star più grandi di tutto il vicinato.

Be Kind, Rewind sembra una commedia in grado di comunicare alla gente comune la magia del fare cinema. E del piacere di guardarlo.

Su /film trovate un trailer un bassa risoluzione, mentre su Yahoo! Movies trovate lo stesso trailer in alta definizione.
In uscita a cavallo tra la fine di quest'anno e l'inizio del prossimo.

giovedì 9 agosto 2007

Il tizio che ha rovinato Heroes

Che è esattamente quello che Kevin Smith dice di non voler essere nel suo blog a proposito dell'episodio di Heroes: Origins che dirigerà in futuro.

Qui sotto trovate il filmato tratto dalla recente Comic-Con di San Diego dove la cosa è stata annunciata. Piuttosto divertente. :)

martedì 7 agosto 2007

Vuoi fare lo splendido?

Allora ti meriti una bella pennellata di merda di fronte a una platea gremita.



Poveretto, c'è rimasto veramente come uno scemo. :)

giovedì 2 agosto 2007

Giochi e politica

Al recente E3 che si è svolta a Los Angeles è stato presentato il trailer di Resident Evil 5, nuovo episodio della popolare saga di survival horror prodotto da Capcom, al momento annunciato per PlayStation 3 e X360.
Potete dare un'occhiata al trailer qui sotto.



Graficamente il gioco sembra davvero maestoso, e la sensazione di "caldo" è comunicata in maniera molto credibile. Però non è delle qualità del gioco che mi preme parlare, ma di qualcosa di più serio.
Il trailer ha sollevato polemiche e discussioni per i contenuti mostrati, in particolare per l'ambientazione africana e la conseguente presenza di "nemici" neri (negri, di colore). Inoltre, il protagonista, il "buono", è bianco. Ci sono diversi post e articoli in rete al riguardo, e sollevano tutti punti più o meno validi. Eccovene un paio: The Village Voice e Black Looks.
Sinceramente queste lamentele mi lasciano un po' perplesso, però è anche vero che la storia recente dell'Africa ha avuto episodi di violenza fin troppo simili a quella che si vede nel filmato di RE5.
A questo punto viene da chiedersi fin dove ci si può spingere quando si crea un prodotto di intrattenimento, quanto si può attingere dalla realtà prima di toccare argomenti non adatti a un videogioco (film o libro, anche).

martedì 31 luglio 2007

il mugugno è "di mare"

woody allen gira a barcellona
gira con penelope cruz e con la johansson, per dire.

ovviamente il fatto che barcellona faccia da sfondo a un film di woody, non è mica cosa da ridere.
il comune ha finanziato in parte il film.
ovviamente per girarlo, sono state chiuse strade al traffico ecc..ecc..

e ovviamente è scattato il maxi-mugugno.

per i mac-users

l'ho appena indicato a maso, e mi son detto e checavoli scriviamolo a tutti.
è uno dei miei programmini preferiti per il mac, si chiama tvshows e, come dice il nome, ti invita a scegliere il tuo spettacolo preferito, ti chiede a fino a che puntata l'hai seguito, e ogni volta che online si trova un episodio nuovo ti scarica il torrent e te lo apre con il bittorrent client preferito.

se siete ancora legati per oscure ragioni all'impero del male, potete fare la stessa cosa "a mano" partendo dal sito tvrss.net, copiare i feed dei vostri programmi preferiti, incollarli sul vostro Reader del caso (anche google reader, per dire)
e non appena vi è qualcosa di nuovo, scaricare il torrent e aprirlo con il vostro client.

ovviamente da utilizzare per cose non protette da alcun copyright, o no?

fuori due.

Antonioni e Bergman muoiono l'uno a un giorno dall'altro.
sarebbe bello pensare a un astuto serial killer di cineasti moderni europei (per certi versi, come biasimarlo?) ma si tratta di banale vecchiaia e malattia.

nel caso di Antonioni, dire che perdiamo un grande regista è dire una belinata.
quello lo avevamo già perso una ventina d'anni fa.

lunedì 30 luglio 2007

the exterminators


mi sono accorto che in questo blog non si parla abbastanza di fumetti.
ed è subito ora di porvi un rimedio, quindi ve ne propongo un po' questa settimana, quasi tutti targati Vertigo, per il semplice motivo che la Vertigo è il migliore editore di fumetti Maturi. punto.
di 100 bullets e di Y:the last man ne ho parlato in più occasioni.
ora invece iniziamo da The Exterminators piccolo grande gioiello scritto divinamente da Simon Oliver e disegnato da Tony Moore.
come si capisce da queste righe, a me The Exterminators garba. assai.
un po' perché per gli insettophobici come me a leggere le avventure di disinfestatori si divertono sicuramente.
un po' perché bisogna apprezzare un fumetto così dannatamente tosto e pieno di idee.
un po' perché il tratto di moore è bello pulito e affascinante.
un po' perché creare una storia a partire dallo sconosciuto mondo popolato da gente che si guadagna i pane uccidendo scarafaggi..lo può fare solo uno con le palle quadre.

e Oliver queste palle quadre ce le ha.
protagonista di questa serie è henry james. ex galeotto e appunto dipendente della bug - bee - gone, compagnia di disinfestatori presieduta dal compagno di sua madre.
il buon hj è in una relazione un po' in crisi con una donna in carriera e un po' lesbica, non entusiasta del nuovo lavoro del suo compagno e impelegata in una multinazionale con affari poco chiari.
ok.
poi
attorno a HJ si dipanano una serie di personaggi non da poco, dal vietnamita esperto in insetti, alle lavoratrici di una sorta di bordello intellettuale, dove i clienti - in sale apposite - possono rivivere le situazioni dei loro romanzi preferiti (ma non andiamo oltre).
aggiungeteci il draxx un insetticida che può venire iniettato per endovena con risultati piacevoli (per poco) e che ha la controindicazione di favorire un anomalo sviluppo negli scarafaggi, un misterioso scarabeo dorato e uno scrigno nazista per avere il quadro completo.

infatti abbiamo una componente paranormale non ancora sviluppata
una bella componente "vita di tutti i giorni" con evoluzioni sentimentali e altro.
una componente "complottistica" governativa
e tanta bella azione quotidiana nella lotta agli insettacci maledetti.

onestamente da un punto di vista meramente di costruzione narrativa ha poco di originale. anche perché ormai è difficile fare qualcosa di nuovo nel fumetto.
certo non ha la straordinaria caotica ricchezza di 100bullets (tra le produzioni "nuove" tuttora inarrivabile),
diciamo che il disegno sembra ricalcare uno stile pulito pulito portato al successo in casa Vertigo da Y:the last man. ed è un tratto che a me piace molto


ma se bisogna osservare una particolarità stilistica quella è la capacità alla bisogna di inserire stili diversi nella vignetta (vedi vignettone a destra) dimostrando ancora una volta una totale adattamento della componente visiva e artistica a quella narrativa, offrendo una posizione per seguire la storia, la più agevole possibile.

per concludere, una storia originale
disegni molto belli e utili alla narrazione
il tutto rendono The exterminator quel genere di fumetti che si leggono in un sorso e in grado di aperture mica da poco.

per ora sono disponibili (in inglese) due graphic novels che coprono fino al numero 10 della produzione.
vi faccio sapere per eventuali aggiornamenti

The Simpsons Movie

dunque..evito gli anatemi sulla sala piena di bambini, perché mi sono già sfogato nel post precedente.
quindi concentriamoci sul film, stando attenti a non spoilerare.
e proviamo a dare giudizi tagliati con l'accetta, giusto per.

dunque raramente un prodotto nato per la tv, ha creato un decente corollario sul grande schermo.
specie le commedie.
prendendo il film di southpark "bigger, longer and uncut" come esempio di passaggio riuscito. possiamo bocciare subito the simpsons, come bocciammo idealmente il film di Family guy "stewie griffin the untold story".
cioè come film non funziona. non tiene bene i 90 minuti

la trama
Springfield ha dei seri problemi di inquinamento, in particolare legati al loro lago. dopo una prima bonifica, l'inquinamento riprende costringendo il governo americano ad adottare drastiche misure, isolando springfield dal mondo.
ovviamente homer ha la sua parte in tutto ciò e le conseguenze per lui e la sua famiglia si rivelano catastrofiche.

Cosa salvare.
- molte gag sono sempre notevoli, superiori in qualità alle ultime presenti nelle più recenti e stanche serie.
e i gioco sull'essere sul grande schermo, funziona..dalla scritta di bart sulla lavagna "non scaricherò questo film" ai titoli di coda (non fuggite subito).
ve ne sono molte notevoli e da vedere e rivedere, così come i riferimenti al mondo disney, e all'attualità.
- vi è un tentativo reale di utilizzare visivamente le possibilità del grande schermo. la qualità dell'immagine è quasi sorprendente per noi abituati a vedere la famiglia gialla in tv, e anche nella composizione delle inquadrature vi è un'attenzione non da poco.
- come detto i soliti riferimenti cinematografici, culturali e letterari: a me è sembrato di vederne uno molto chiaro e ovvio a "la notte del drive-in" di lansdale, tra gli altri.

Cosa buttare via.
- la particolarità dei simpsons è sempre stata la "varietà narrativa". una storia che inizia in un modo, che prende inaspettate direzioni, per poi cambiare nuovamente e risolversi.
qui la storia va invece in una precisa direzione dall'inizio alla fine. ed è una direzione così smaccatamente scontata, banale, prevedibile che uno ci rimane un po' così.
ci sono tutta una serie di eventi "telefonati" che sfiorano l'imbarazzo. sembra quasi che per paura di perdere il filo della storia nei 90minuti, gli autori abbiano pensato di renderla il più quadrata possibile.
ovvero di fare una storia "forte" ma scontanta, nella quale inserire battute e gag brillanti. la cosa funziona solo a metà perché questa storia che viaggia così liscia e senza alcun repentino cambio di direzione, alla lunga intacca anche ciò di buono presente nel film.
- l'abbandono dei personaggi secondari: appaiono sullo sfondo, a mò di macchietta e appaiono praticamente tutti. ma nessuno che "lasci il segno", nessuno in grado di aprire una storia nella storia o di distrarci per un tempo superiore a quello di una battuta.


non vado oltre, anche perché in italia uscirà il 14 settembre e campa cavallo prima che lo vediate (nella pubblicità affermano un'uscita in contemporanea worldwide...se, tranne che in italì)
e per concludere, sì..rispetto alla produzione attuale dei simpsons, questo film è un buon colpo di coda.
ma, nulla di innovativo, nulla che faccia anche solo accendere nella testa la lampadina "capolavoro" e nulla che ti spinga subito finito il film a nasconderti nei cessi del cineama e reinfilarti nello spettacolo successivo.

dovessi dare un giudizio di valore con una parola lapidaria dire.
"carino"


Voi non potete entrare

iniziamo col dire che andare a ad una proiezione pomeridiana (perché costa meno) e finesettimanale (per mettere d'accordo tutti) orami come andare a disneyland.
bambini, rumorosissimi, insopportabili, insolenti e sgrufolanti (poi in irlanda il tutto va moltiplicato per 5). Un incubo. Nelle società occidentali si fanno meno figli e gli si dà troppo potere, ed ora eccone le conseguenze.
calcolando poi che siamo nella società "gli schiaffi non aiutano a crescere" il risultato è disastroso.
film più "controllati" per poter garantirne la visione anche ai suddetti piccoli mostri, sale cinematografiche ridotte a luna park, merchandising feroce e vendita di cibi sempre più rumorosi in ogni cinema.
film bambinizzanti, orari di proiezione sempre più bambino-free (qui sta sparendo l'ultima proiezione della notte...e aumentano quelle alle 13.30), ecc...ecc..
insomma, un disastro sia da un punto di vista testuale, sia "esperienzale"
roba che ti tocca attendere l'uscita del dvd per vedere quelle tette, culi e violenza che erano stati tagliati per consentire l'accesso a tutti, ma accompagnati.
fatico a ricordare l'ultima volta che sono andato in una sala senza avere bambini attorno.
considerando poi che i divieti vengono aggirati da genitori complici e allora siamo posto
perché, un conto è andare a vedere un film pixar e beccarsi bambini (lo sai, te lo aspetti, ti prepari cercando la proiezione meno baby friendly che si possa ritrovare)
ma la cosa sta degenerando in più direzioni.

qui chiudo la mia mozione: proibiamo in toto le sale cinematografiche ai minori di anni 16...o creiamone apposta (sì, sì, ghettizziamoli)
intanto a quanto si dice il cinema sta morendo lo stesso..tanto vale farlo morire con dignità.
e poi volete mettere la valvola di sfogo per i genitori? aver la scusa di uscire di casa lasciando i pargoli alle babysitter del caso.."sai tesoro, noi ti porteremmo con noi, ma nei cinema non puoi entrare, ci spiace molto".
i bambini che si godano la tv HD, le meraviglie dell'home theatre e gi extras di qualche film con orsi parlanti.

tenetevi il capitano jack
ridateci callaghan....

sabato 28 luglio 2007

Pirateria o promozione ?

Andando ad indagare meglio sul fatto che 3 episodi della terza serie di Weeds siano gia' in rete quando la prima visione in tv e' prevista per il 13 agosto su Showtime, mi sono imbattutto in qualche forum che si meraviglia di questo fatto, e ho notato che molti propendono per l'idea che non sempre si tratti di pirateria, ma voluta promozione da parte degli studi televisivi per "testare" l'episodio pilota sulla rete e in base ai commenti decidere se finanziare o meno un'intera serie. Se questo discorso non si puo' applicare a Weeds (ormai consacrato come cult) lo si puo' fare con diversi pilots di nuove serie, come ad esempio

  • Chuck: (season 1) scheduled to air on September 24, 2007
  • The Sarah Connor Chonicles: (season 1) scheduled to air on early 2008
  • Pushing Daisies: (season 1) scheduled to air on September 26, 2007
  • Californication: (season 1) scheduled to air on July 24, 2007
  • Reaper: (season 1) scheduled to air on September 25, 2007

  • Di questi elencati ho visto Californication e Pushing Daisies. Il primo ha come protagonista David Duchovny, scrittore in crisi creativa e coniugale (la moglie e' interpretata da Natascha McElhone) che passa da una donna all'altra come classica vendetta nei confronti della moglie che l'ha mollato ma di cui e' ancora innamorato. Diciamo che dopo anni di astinenza con Scully si rifa' ampiamente... Tra i due una figlia dodicenne gia' alquanto smaliziata. Dialoghi e scene forti (inizia con lui che sogna di entrare in chiesa ed una suora con le sembianze delle sua attuale amante gli propone un pompino anziche i soliti classici padre nostro o ave maria...), prodotto come Weeds da Showtime. Notazione da maiale televisivo: chi volesse vedere quanto e' cresciuta bene la bambina che interpretava la figlia del sig. Sheffield in "La Tata" e' accontentato... Qualcosa mi dice che non lo vedremo mai in Italia se non come appunto Weeds all'una di notte ad agosto.
    Qui cmq c'e' il promo sottotitolato:



    Pushing Daisies riprende invece il filone di Tim Burton, sia come situazioni che come personaggi, strani e grotteschi (i produttori sono infatti quelli di Big Fish). Il protagonista e' un bambino che scopre di avere il potere di riportare in vita qualsiasi essere vivente morto (vegetale o animale), ma se lo tocca di nuovo questi muore per sempre, e se non lo tocca entro un minuto un altro essere vivente nei paraggi muore a sua volta (non si capisce pero' con che criterio). Dopo l'inizio utile ad introdurre il personaggio, con un flash forward si arriva ai giorni d'oggi, e si vede come il bambino ormai uomo decide di sfruttare questo suo dono. Il regista del pilot e' Barry Sonnenfeld (Men in black), anche produttore esecutivo. Al momento previsti 13 episodi a partire dal 26/9/07.
    Qui c'e' il promo senza sottotitoli (ma si capisce abbastanza.... ):







    giovedì 26 luglio 2007

    Sabato il Rocky Horror, Domenica Beatles e Lunedi Let's get lost

    gggiovani autori italiani a venezia

    poi noi sciocchi parliamo male del cinema italiano
    da repubblica.it:

    (sottotitolo era:Tre gli italiani, tutti giovani: Paolo Franchi, Vincenzo Marra e Andrea Porporati)

    Gli italiani. Quanto alla presenza italiana, sarà giovane e, si suppone, di qualità. In gara ci saranno Paolo Franchi (38 anni) con "Nessuna qualità agli eroi" con Elio Germano; il napoletano Vincenzo Marra (35 anni) con "L'ora di punta" protagonista Fanny Ardan e Andrea Porporati (autore, tra l'altro, della nona serie della "Piovra" e del film "Crociati") che presenterà "Il dolce e l'amaro" con Frabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio e Donatella Finocchiaro.


    Solo in italia un 38enne e un 35enne dietro la macchina da presa è definito giovane (per non parlare di Porporati..del quale hanno omesso opportunamente l'età.cmq ne ha 43..)
    noi abbiamo sempre avuto serissimi problemi di ricambio generazionale, in ogni campo.
    ..e in un settore artistico questo problema, per me, ci causa un handicap non da poco.
    però..ehy....La notizia è che sono ggggiovani (????)

    (poi vorrei sapere perché se è cinema italiano bisogna sempre supporre che sia di qualità)

    lunedì 23 luglio 2007

    weeeeeeds..



    "ufficiosamente" (si tratta di pre-air)
    è tornato Weeds
    terza serie.
    un inizio forse un po' sottotono rispetto ai suoi standard.
    ma ehy..
    weeeeeds....
    la serie tv con il miglior personaggio dell'intero panorama audiovisivo mondiale (il cognato della protagonista).
    appena qualcuno farà l'action figure di lui, sono pronto a comprarlo.

    Scene da un colossale business. Harry Potter V e tutti vissero ricchi, felici e contenti

    Non sono un fan del fantasy, non ho visto gli altri episodi. Anzi proprio non amo i film ad episodi. Ho letto solo il primo libro, ma alla maniera di Silvio Orlando nel Caimano, in modo trasversale.
    No anzi, ho visto anche il primo film, ma anche quello in maniera trasversale. In pratica, sono il meno indicato per giudicare questo (5°) episodio della saga. Me ne stavo in sala e non coglievo né i vari riferimenti ai personaggi, né i flashback. Ma in questo post non voglio solo spoilerare la trama e dirvi cosa mi è piaciuto, mi interessa anche raccontarvi il tutto da un punto di vista “antropologico”. E parto dall'inizio serata.

    Mi presento con due minuti di ritardo (per colpa della mia caviglia malandata) e con la tessera esercenti della mia ragazza. Ma alla cassa son tutti sorridenti, la tessera non viene controllata, ed in 30 secondi sono in sala. Addirittura all'ingresso, la maschera mi apre gentilmente la porta e ci augura una buona visione (ma forse anche questo dipende sempre dalla mio andamento claudicante, un po' faccio pena). Comunque il cinema è quasi pieno, il film è già cominciato, è in perfetto orario. Troviamo posto vicino allo schermo e quindi sospendo il giudizio sulla cura degli effetti surround (mi spiace ste); in pratica sentivo solo una potente colonna sonora sparata dal centro.
    Il film è abbastanza scuro, si è sempre nella scuola o al “ministero della magia”. Gli effetti speciali son meravigliosi, splendidi quelli buttati lì, sprecati nelle scene minori: quadri viventi sullo sfondo, una ragazza che cambia volto e colore dei capelli a piacimento. Mi perdo la scena iniziale dove Potter è costretto a sfoderare le sue arti magiche, mi dicono fosse bella paurosa. Comunque, quel fatto scatena una reazione “politica” del ministero per la magia e alla scuola arriva un antipaticissima professoressa che, in nome di una nuova moralità, rallenta l'apprendimento pratico deglii aspiranti maghi. E a quel punto Harry reagisce e allestisce una sorta di madrassa per giovani combattenti, che al momento opportuno saranno in grado di difendersi e attaccare. Finale logicamente aperto dato che mancano due episodi.
    Ma torniamo all'antropologia.
    Mamme felici e papà mezzi addormentati ma bambini e ragazzini (e la mia ragazza) erano in delirio. Il Potter sfodera carattere da leader e affronta tutti con buona rabbia. E alla scena del bacio, ho visto tanti cuoricini spezzarsi. Giuro, quella di fianco a me a iniziato a tirare calci dall'emozione.
    L'intervallo è durato non più di due minuti, tempo di arrivare al bar, e mi perdo l'inizio del secondo tempo. Poco male, due ragazzini di fronte a me commentano ogni scena, saranno lì seduti dal pomeriggio, ed in poco tempo capisco cosa sta succedendo. Poi arrivati al terribile scontro finale, il ministro se ne esce con una stupida battuta tipo: “Allora avevate ragione” ed il pubblico che ha sempre rumoreggiato in modo poco plateale, ora lo sbeffeggia apertamente... e alla fine quasi parte un applauso commosso, perché qua davvero tutti vissero felici e contenti: sia il ragazzino, che la sorellina che la mamma si son divertiti, (pazienza il babbo che s'è abbioccato), e se almeno la metà di tutti quei quindicenni, spegnesse poi la play per leggersi quei mattoni degli ultimi episodi, HP andrebbe reso obbligatori a squola. Pure il produttore e l'esercente, ma anche la cassiera e il proiezionista, vivranno forse più felici e contenti, sicuramente più ricchi.

    Dopo 5 film e 7 libri ci son ancora scene di isteria di massa, sia per il film che per il libro. Il film li spinge al libro, il libro li rimanda al cinema; pubblicità, effetti speciali e merchandising fanno il resto. Questo è puro business, arte (minuscola) ben confezionata, e venduta al meglio. Però il prodotto soddisfa tutti, non ha controindicazioni, è adatto a tutti e sotto sotto, se vuoi, ci trovi pure del buon Cinema (o della buona Letteratura).
    Complimenti a Hollywood.

    martedì 17 luglio 2007

    Ma secondo voi, parte seconda


    Tarantino ha ragione riguardo al cinema italiano?
    Davvero il cinema italiano versa in una situzione così tragica?

    Lo ammetto, a me il cinema italiano, quello recente quanto meno, non è mai piaciuto molto. Il perché non lo so nemmeno io di preciso, ma penso che abbia a che fare con la mancanza di determinati generi e l'abitudine degli autori italiani di menarsela un po' con temi "seri". Manca un po' la via di mezza tra il cinema impegnato, o sedicente tale, e le vanzinate. Però ripeto, sono molto ignorante al riguardo, quindi non vado oltre.
    Voi che ne sapete sicuramente di più di me, cosa ne pensate?

    Il nuovo corto di Pixar

    Oddio, nuovo, sinceramente non so da quanto sia in giro, ma io l'ho scoperto solo oggi, e ne approfitto per mostrarvelo. Si intitola Lifted.



    Carino, niente di più.

    Già che ci siamo, segnalo un altro corto Pixar che mi mancava, One Man Band.



    Questo invece è splendido.

    Ah, quando diamine esce Ratatouille?!

    sabato 14 luglio 2007

    ma secondo voi??

    .".. rapidly growing number of cinemas are going digital. Over 3,000 North American screens have been converted, nearly two-thirds of them in the past year. Some download films and advertisements via satellite, and others have films delivered on hard drives (which are a lot smaller, lighter and cheaper than big reels of film). America's biggest chains, which have lagged behind, will start to convert cinemas next year. And Europe, which has trailed even further, should catch up thanks to a deal announced this month with two Hollywood studios."
    da economist.com
    Digital cinema | The final frontier | Economist.com


    io alla famosa conferenzona di vienna sono uscito sconcertato da quanto venga dato per defunto il nostro amato cinema.
    cosa della quale non sono molto convinto (il cinema morira' quando avremo le macchine volanti).
    pero' nemmeno mi aspettavo che REALMENTE delle sale si convertissero al digitale..
    la mia idea e' che digitale o pellicola, il cinema continuera' ad esistere e afunzionare come siamo abituati che funzioni. (a pensarci bene anche l'home teather ricrea le condizioni di fruizione della sala..sorround, schermi piatti ec.).

    ecco, secondo voi DAVVERO il fatto di poter veder un film su un ipod (ma chi lo fa?) mette a repentaglio la salone cinematografica??
    il cinema sparira' come rito comune??
    dove andremo a palpare le ragazze? sugli autobus??
    meditate gente
    meditate

    martedì 3 luglio 2007

    Politique des auteurs ou des producteurs?

    Ricordo tempo fa un’appassionata discussione tra me e Baskjev sulle virtù del producer’s cut: l’occasione era ovviamente un qualche film di Spielberg presentato a Venezia che lui aveva visto e io no, forse Terminal (che tuttora non ho visto), ma comunque un qualsiasi film del regista che andava come di consueto avanti almeno di mezz’ora dopo che era stato raggiunto “il punto”, o comunque più di quanto uno spettatore seduto potesse sopportare senza rompersi i maroni. Al che “Ecco”, sbottava Baskjev, “per Spielberg ci vuole il producer’s cut, che è il produttore che gli dice ‘Steven, hai rotto i maroni, ti impongo un taglio perché non puoi andare avanti altre due ore e mezza’ e così il film diventa funzionale come ai bei tempi della Hollywood classica”.

    Caso vuole che alla stessa edizione del festival (2004, credo) ci fosse anche Tarantino che presidiava un rassegnone sui filmacci italici anni ’70. I film li facevano a mezzanotte, e quelli che non riuscivano a infilarsi a bere birra gratis nelle feste private dove invece Baskjev sguazzava “come un prete in una scuola elementare”, ci andavano per fingere che il loro snobismo autoriale fosse superiore al richiamo della birra gratuita.

    Io ovviamente ero lì (a vedere i filmacci, non alla festa), ed ebbi modo di assistere ad una proiezione di un film che amo particolarmente, Cannibal Holocaust, alla presenza di Tarantino, Dante, Deodato e tanti altri dropout come me. Durante il dibattito seguente alla proiezione il noto autore texano chiese per ben due volte a Deodato come aveva realizzato la suggestiva sequenza di evirazione: “Gosh, it… wow! It looks like real… I mean... Ouch!”, al punto che all’uscita un mio conoscente, che peraltro è una persona seria e si occupa di product placement per una nota casa di produzione, predisse che nel successivo film di Tarantino ci sarebbero state tante evirazioni. Eppure, come avrà notato chi ha visto Grindhouse, nulla di tutto ciò. Allora? Che ne è della politica degli autori? Ebbene, Tarantino ci dà la risposta in Hostel 2, dove, complice un cameo di Ruggero Deodato, impone la propria continuità autoriale al filmaccio del suo protetto (ecco il producer’s cut che vedete riprodotto nella foto): con un gesto zizekiano e klossowskiano, viene stabilito il primato della politique des producteurs su quella des auteurs. Baskjev, ancora una volta, era ahead of his times!

    domenica 1 luglio 2007

    I Pirati dei carabi, ovvero la saga dell’un due tre…

    Dunque dunque, non è certo con chissà quali pretese da cinefilo che si va a vedere un film della Walt Disney, anche se le saghe del passato (prima tra tutte Indiana Jones), dal mio punto di vista, a livello di funzionalità e attrattiva nulla avevano di meno di un bel Signore degli anelli!

    Sono andata a vedere tutti e tre gli episodi della triade (che speriamo non si accresca) di Gore Verbinski più che altro perché mi attraevano le scenografie, davvero, moltissimo e per l’idea di un Pirata che lo fosse davvero, frode fino al midollo osseo, simpatico quanto egoista. In tutti e tre i film (il secondo, per chi non lo sapesse, è La maledizione del forziere fantasma, 2005 e il terzo Ai confini del mondo, 2006) il personaggio di Johnny Depp nel ruolo di Jack Sparrow è perfetto, soprattutto in apertura al terzo, quando si trova chiuso nello scrigno del cattivissimo capitano Jones, appunto ai confini del mondo, a stretto contatto con le molteplici sfaccettature della sua mente. Un po’ folle, un po’ dandy e molto ambiguo, Sparrow è la perfetta declinazione autoironica dell’eroe e il suo è l’unico personaggio che resta coerente fino alla fine. Tutti e tre i film vivono essenzialmente della meravigliosa fotografia di Dariusz Wolski e del plusvalore spettacolare dato da tutto ciò che è pro o post filmico, dunque scenografie, costumi, effetti speciali e quant’altro, ma se il primo era interessante, il secondo insopportabile, soprattutto per la banalità dei dialoghi, i tempi morti e stramorti, l’orrenda vicenda amorosa e la pessima recitazione soprattutto di Keira Knightley (in questo film alla peggiore interpretazione), il terzo stupisce all’ennesima potenza per la rappresentazione del magnifico Olandese Volante, già nucleo essenziale del secondo episodio e fa acqua da tutte le parti per quanto riguarda la storia. Non che i risvolti narrativi non siano accettabili: la strega è in realtà la dea che catturò il cuore di Jones, dai confini del mondo si torna per ribaltamento alla realtà, si entra nel cosmopolitismo pirata, si passa dal film “arti marziali” al romantico, all’orrorifico e via dicendo, i padri vengono in aiuto ai figli, incluso lo stranissimo Keith Richards nella parte del padre di Jack, un’alta dose di spirito anarchico…insomma, le trovate c’erano e io personalmente sono rimasta sconvolta dai granchi-pietra dell’inizio (atmosfera davvero onirica), ma ad un certo punto, in tutta questa rocambolesca serie di avvenimenti, ci si accorge di non aver capito quasi nulla, si ha la netta sensazione di trovarsi a metà di Dynasty, quindi nell’infinito e ci si annoia, ci si annoia a morte. La mia opinione è che questa saga, anzi, questo film, sarebbe potuto essere, per le trovate e la fattura, un vero capolavoro, se una produzione sempre più bieca e dominata dal cattivo gusto (nonché dall’evidente necessità di vendere gadgets forse per pagare i propri attori), non avesse molto probabilmente imposto di farne tre episodi. La storia si poteva e si doveva risolvere in un unico film di massimo tre ore, con tutte le sue trovate magari concatenate meglio, in maniera più semplice, lineare e senza quella marea di scene in più, che anche un bambino di tre anni riconoscerebbe come aggiunte in maniera forzata.

    Peccato, un grande, spettacolare, buco nell’acqua, di cui resteranno non i film, non l’invito alla rivolta di un certo sistema e all’anarchia, ma poche tracce, come appunto la figura di Sparrow nell’interpretazione di Depp e il mitico Olandese Volante.

    Nashville, di Robert Altman, 1975



    Mi è capitato di vedere questo film di cui avevo parecchio sentito parlare e dato che la mia intera filmografia su Altman è carente, credo che dopo aver visto questo mi farò una bella esplorazione di tutto quel che ha prodotto, che non è poco!

    Nashville è praticamente la rappresentazione cinematografica del celebre festival di country music dell’ormai famosa capitale del Tennessee, ad è stata anche un’occasione per allestire il più grande happening della carriera del regista: una sorta di set itinerante continuamente in movimento lungo il territorio della città. Altman è riuscito ad imbastire una trasparente allegoria del suo Paese, visto, sorpreso e analizzato nel corso di gioioso quanto macabro “rito di massa”. La manifestazione musicale è l’escamotage attraverso cui il regista squaderna sullo schermo un viluppo di storie, fatti, suoni e colori che sfondano subito i confini fisici di Nashville e della sua popolazione, ridotta a “campione umano”, esaltato dal ricorso al formato largo; in questo modo ciò a cui disperatamente la produzione degli anni Cinquanta si aggrappava per rilanciare l’unicità della visione in sala, diventa in mano agli autori del film in questione molto più che un orpello tecnico (quello che poi, purtroppo, ultimamente è ridiventato). In questo film l’uso del Panavision è servito davvero! Permette infatti di catturare porzioni di realtà impensabili per un taglio televisivo, pur restituendo l’idea di una specie di cronaca, di qualcosa di unito, ma allo stesso tempo di frammentario, che necessita di un completamento (o ne dà l’impressione) da parte dello spettatore. In Nashville la fotografia, associata ad un consapevole uso della profondità di campo e dello zoom, si è trasformata in uno strumento eccezionale per chi abbia interesse a sottolineare la compenetrazione tra l’individuo e l’ambiente che lo contiene.

    Il film lo definirei quasi un “ipertesto”, nel quale del resto una serie di operazioni sono ben lungi dal limitarsi all’aspetto visivo: l’autore infatti ha riposto anche nel sonoro della sua opera parte integrante del senso in gioco, sperimentando per l’occasione un all’epoca innovativo sistema di registrazione a ventiquattro piste, l’unico adeguato al tipo di lavoro che si prefiggeva di realizzare. La restituzione fedele di voci e rumori, slogan e canzoni dispiegati nel tentacolare universo del film è pertinente al suo proposito di fornire al pubblico quanto più materiale visivo, sonoro e umano fosse in grado di mettergli a disposizione, da cui ogni singolo spettatore potesse attingere per costruire il “proprio” film. Per forza di cose, il set diventa l’intero nucleo urbano: gli eventi si rincorrono e non si capisce più se il cinema insegua la musica o viceversa. Arriva gente da tutti gli Stati per partecipare o assistere al Festival di musica, ma negli stessi giorni Nashville è teatro di un evento parallelo, costituito dalla campagna di un fantomatico politico (che non appare mai) candidato del “Terzo Partito”. Naturalmente c’è tutto l’interesse, da parte di chi lavora per lui, nel canalizzare l’evento musicale a favore della riuscita elettorale e questo è lo sfondo sul quale il film inscrive il suo materiale umano. Tuttavia la macchina da presa del regista rimane sempre in “superficie” e difficilmente si preoccupa di adottare un’ottica di tipo emotivo: in continuo movimento, essa si cura bene di non avvicinarsi mai troppo al suo materiale umano e nel film non si trova praticamente traccia di primi piani, da sempre lo strumento principe del linguaggio cinematografico in fatto di approfondimento psicologico. Per tutto l’arco del film si ha la netta sensazione di stare “dalla parte” di qualcuno, quasi che noi stessi fossimo diventati gli operatori di questa specie di “documentario”: un sensazione assai curiosa. Ma è solo uno dei tanti tranelli dell’autore: la sua scrittura “superficiale” non privilegia niente e nessuno, puntando ad un certo punto il mirino della macchina da presa direttamente contro la platea, durante il concerto finale, nella quale gli spettatori si guardano tra di loro con espressioni interrogative, come se proprio tra loro (noi) dovesse ad un certo punto accadere qualche cosa.

    Forse non soddisfatto della forte critica inflitta ad un popolo che pur di far continuare lo spettacolo di vecchi mostri, pur di non doversi preoccupare direttamente delle cose, intona “It don’t worry me” anche dopo un omicidio, il regista non lascia fuori dalla sua accusa nemmeno lo spettatore cinematografico, il cui ruolo privilegiato di neutro osservatore poteva far credere d’essere esentato dall’invettiva.

    Nasville mi ha stupita molto: per la sua struttura composita, corale, per le storie dei molti personaggi assurdi quanto realistici che si intrecciano nello stesso ambiente, per la capacità di descrivere i costumi di un luogo in una determinata epoca attraverso la musica e in maniera così fluida, per cui da un personaggio si scivola sull’altro in continuazione, sul filo di un destino invisibile che sembra legarli e che si associa alle caratteristiche dell’ambiente in cui vivono (è vero che Altman è un po’ antropologo!). Mi sembra espresso con chiarezza e senza alcuna retorica il disagio generazionale di una comunità che vuole tagliare i ponti con il suo passato, con il rispetto per i vecchi padri e ormai usurati simboli. Il ragazzo che spara alla famosa cantante country (e questo genere musicale viene preso in giro e martoriato dall’inizio alla fine, semplicemente mettendo lo spettatore di fronte all’evidenza di quanto ormai sia invecchiato e inadatto al tempo cambiato) lo fa poco dopo che ella ha concluso una canzone proprio in omaggio a tutti i padri e le madri d'America, come se a quel punto non avesse più potuto fare altrimenti. La musica di questa cantante è bella, interpretata bene, meglio di molti altri che sentiamo nel film, ma rappresenta qualcosa di già passato, di ormai contaminato dallo Star System e di rivolto su se stesso, incapace di evolvere: che ha fatto, in sostanza, il suo tempo.

    La musica si fa manifestazione vivente di qualcosa di ormai morto e sepolto. La mancanza di rispetto verso il passato, per certi estremi anche criticabile, la si nota nella figura della modella che non considera la zia nemmeno in punto di morte e che frivola e superficiale, è diventata ormai apparenza totale. Tom invece, il cantante belloccio, cerca l'amore vero in una madre di famiglia, la quale rappresenta probabilmente un mondo pensato come puro, ma in realtà ormai contaminato da un presente moralmente più caotico del passato.

    Nashville è senza dubbio una fortissima denuncia al mondo dello spettacolo, in nome del quale la gente è disposta a vendersi con facilità pur di avere un momento di celebrità, come fanno la cameriera stonata o la stessa Barbara Jean (la cantante famosa), che ha ormai esaurito le sue energie nella costante applicazione di un sogno che l'ha distrutta fisicamente e che forse apparteneva più a sua madre che a lei, o che probabilmente non poté nemmeno scegliere. E’ una critica al giornalismo, soprattutto televisivo, vano e superficiale, attratto dal sensazionalismo e portato avanti in maniera ingenua (convincente quanto fastidioso il personaggio interpretato da Karen Black), è un film sulla contaminazione, prima di tutto tra vecchio e nuovo, che ci porta da un estremo all’altro, vale a dire dall’adesione totale e conservatrice al passato, al distacco totale e crudele dalla storia e dal vissuto personale. Girata un po’come se fosse un documentario e anche un musical, è una pellicola dal ritmo calmo, lento, in cui molti dei personaggi sembrano vivere quasi solo in nome dei tempi andati, come ad esempio il militare che insegue la cantante in tutti i suoi concerti perché la madre glie l'ha chiesto in punto di morte e che con il decesso (forse) della cantante vede svanire quello che è ormai diventato quasi l'unico scopo della sua vita.

    Nashville mi ha dato l’idea del momento in cui si colloca, mi ha infilato questioni nel cervello quasi senza che me ne accorgessi, è un film molto particolare.

    Ho scritto troppo J

    sabato 30 giugno 2007

    A Snake of june, di Shinya Tsukamoto (2002).

    Quarto lungometraggio importante (ma ne ha fatti ben di più) dopo Tetsuo: the iron man (1989), Tokyo Ken (1995) e Bullet Ballet (1998), questa pellicola, premio speciale alla mostra di Venezia del 2002, è prima di tutto uno dei più convincenti film sulla fotografia che abbia visto fin’ora e in particolar modo sull'uso di tipo compensativo e catartico, a livello psicologico, che se ne può fare.

    L’intera pellicola, al di là del racconto vero e proprio, sembra giocare simbolicamente e come struttura sulla visione e il riconoscimento di sé stessi secondo un senso ormai diffuso di sdoppiamento e quindi spesso solo attraverso l'occhio della macchina fotografica: unicamente mediante la continua rappresentazione di noi stessi intesa come specchio impietoso.

    L’intera pellicola è girata in bianco e nero e virata blu, propriamente in blu e nero, molto sgranata, probabilmente per sottolineare ancora una volta l’effetto di analisi ed ingigantimento della realtà propri del mezzo fotografico, secondo la sana tradizione che va da Blow Up in poi. L’uso emotivo del colore in questo film ricorda i migliori e più audaci esperimenti di Kurosawa, non a caso altra fonte d’ispirazione del regista, soprattutto mi fanno venire in mente quel gioiello che è Dodes’ ka-Den (1970, in cui i verdi che contaminano letteralmente l’ambiente restituiscono l’angosciosità di un mondo completamente alla deriva, sia fisiologica che psicologica.

    E’un Antonioni del cinema giapponese questo Shinya Tsukamoto, che produce i suoi film integralmente, vecchio stile, curandone ogni aspetto: la fotografia, l’illuminazione, il soggetto e la sceneggiatura, arrivando a montare individualmente ogni film. Un vero filmaker, spesso anche attore nei suoi film, apparentemente incurante delle caratteristiche industriali della sfera del cinema e amante delle atmosfere cupe e Cyberpunk dei film di Cronenberg (e si vede).

    Una coppia curiosamente assortita comprende una giovane e bellissima donna, Rinko, (splendida Asuka Kurosawa), impiegata in un centro di igiene mentale e suo marito, Shigehiko, un uomo molto più anziano di lei, insignificante e anonimo, vittima delle proprie manie, tra le quali un folle bisogno di igiene a tutti i costi e la vera e propria paura del proprio organismo e dei propri umori. Tra i due coniugi in ogni istante del film traspare sentimento, in particolare (ed incomprensibile) modo da parte di lei, che ha cercato forse in quest’uomo qualcosa di rassicurante di cui aveva bisogno, ma la vita dei due sembra anche rassegnata ad una soffocante monotonia, alla freddezza e alla totale mancanza di scambi d’affetto e di una qualunque forma di sessualità. Tutta questa mancanza di vita, il costante contatto con la sofferenza e la follia altrui (anche la madre del marito è pazza e lui non è proprio normale), fanno ammalare la giovane di tumore al seno. A quel punto un fotografo, interpretato dallo stesso Tsukamoto, al quale lei ha salvato forse la vita o che comunque l’aveva contattata telefonicamente restandone colpito, avendo compreso, dato che anche lui è malato di cancro, il suo malessere, inizia un gioco sadico e inizialmente molto perverso di liberazione della libido della donna, costringendola, attraverso un “ricatto fotografico”, a mettere in pratica i suoi desideri più segreti (intendo quelli di Rinko). La vicenda si svolge per tutta la prima parte del film in un’atmosfera sospesa, di vera angoscia, amplificata dalle immagini di un’anonima metropoli giapponese malata e piovosa, grigia e soffocante, vista sempre e solo nei dettagli e quasi mai per intero. Questo tipo di visione, molto frammentaria e puramente fotografica, porta in ascesa la tensione dello spettatore calando i personaggi in posti assurdi e irriconoscibili, come la fabbrica in cui una serie di uomini in giacca e cravatta sono costretti, attraverso monocoli, ad osservare scene di morte o di violenza, in un clima che non è possibile ricondurre né alla finzione, né alla realtà. Alla fine il fotografo, testimone del suo stesso dissolversi, si trasformerà da persecutore in una specie di angelo vendicatore (altamente simbolici sono il bacio che dà a Shigehiko prima di punirlo per la sua cecità, o i tentacoli di plastica nei quali sembra lo voglia strangolare), che farà capire ad entrambi, ma soprattutto al marito sopito, l’importanza di ognuno di essi per l’altro e venire alla luce, sia pure bruscamente, la loro bellezza. L’uomo amerà il corpo non più perfetto della donna, liberatosi da tutte le sue distruttive ossessioni, in un conclusivo e liberatorio atto carnale. Un lieto fine dunque, anche se tirato per i capelli e che non lascia tranquilli, anzi, che fa pensare alla fragilità umana, alla follia e a quanto poco possano durare i momenti di felicità che spesso non si è nemmeno in grado di autoprocurarsi. Un finale che non concede sicurezze nemmeno dopo l’ultimo dei titoli di coda.

    A Snake of June è un film che consiglio di vedere, in nome dell’originalità delle forme, per il profondo senso estetico, per non rischiare di diventare troppo trappola di sé stessi, per non avere paura delle contaminazioni. Anche questa una pellicola estrema che o piace o non piace, ma almeno viva e di sicuro effetto, vera antitesi del patinato.

    Millennium Actress (Chiyoko Millennial Actress), di Satoshi Kon.


    Un mio amico mi ha fatto presente l’esistenza di questo nuovo guru dell’animazione giapponese di cui non sapevo quasi nulla fino a poco tempo fa. Decisa dunque a farmi una cultura filmografia su di lui ho cominciato col vedere questo suo secondo lungometraggio animato che si è rivelato comunque totalmente inaspettato, in special modo per la sua forma.

    La storia è presto detta: in occasione della demolizione degli studi cinematografici Ginei, il regista Genya e il cameraman Kiyoji decidono di realizzare un documentario dedicato all'attrice più rappresentativa di tali studi: Chiyoko Fujiwara. La donna, ormai anziana e ritiratasi dalle scene, accetta di essere intervistata dai due; durante l'incontro Genya restituisce all'attrice una misteriosa chiave, oggetto a lei molto caro ma creduto perduto da tempo. Anche grazie ai ricordi fatti scaturire dal ritrovamento del prezioso oggetto (che diventa in maniera piuttosto prevedibile chiave della porta del tempo), Chiyoko inizia a narrare la sua storia, in cui la carriera d'attrice si lega indissolubilmente all'amore idealizzato per un giovane pittore conosciuto fugacemente e mai dimenticato. Nel corso del racconto, la memoria della donna confonde la realtà con la finzione dei film da lei interpretati e così un'unica storia d'amore e di vita vissuta viene narrata attraverso diverse epoche, luoghi e ruoli. La Storia con la S maiuscola diventa allora quella di una sola persona, e viceversa. Quella che viene raccontata, attraverso una struttura temporale e spaziale assai articolata ed originale, è alla fine la storia dell’eterna ricerca dell'amore, anzi, del senso dell’amore più che altro in quanto ricerca di altro da sé, ma attraverso un millennio di Storia giapponese. I piani narrativi e temporali variano continuamente con l'avvicendarsi delle ambientazioni e delle epoche storiche e la cosa che forse mi ha colpita di più, più della storia in quanto omaggio al cinema, all’arte e alla recitazione, è proprio questo senso del tempo che ne deriva, estremamente dilatato, reiterato, manipolato e sconvolto. E’ un tempo che ti si incolla addosso, che si trasforma in residuo percettivo e che permane anche dopo che l’anime è bello che finito. Un tempo centripeto, reso perfettamente, trascinante e vorticoso nella vicenda, ma anche nella visione del film, che si rivolge letteralmente su se stesso, che dà la netta sensazione del ricordo, in un eterno confondersi tra i tempi. Guardare questo film è stato un po’ come entrare in una spirale…particolarissimo, ed ennesima testimonianza di quale efficiente manipolatore della temporalità possa essere il cinema o l’audiovisivo in generale. In quanto attrice, la protagonista Chiyoko non può che raccontare la sua storia personale attraverso i film da lei interpretati: storici, melodrammatici, di guerra, di fantascienza, ma con innumerevoli virtuosismi di regia, il racconto passa dall'epoca dell'espansionismo militare giapponese (realmente vissuto da Chiyoko in gioventù) all'epoca del Giappone feudale (ovviamente vissuto soltanto nei film), al periodo Meiji, al futuro, agli anni ‘50, in un avvicendarsi di finzione filmica e realtà storica che, nella memoria dell'anziana donna, sono una cosa sola. É l'amore che muove la storia di Chiyoko: tutto è spinto dalla passione in questo film e la stessa vicenda narrata perde importanza di fronte al sentimento d’amore assoluto che la sintetizza e che in effetti il film comunica, talvolta esagerando.

    Di questa intensa narrazione, il regista e l'operatore non sono semplici ascoltatori: con una felice e divertente trovata, anche i due intervistatori si trovano sempre nel bel mezzo dell'azione, anch'essi attori in questa “Storia di tutte le storie”. Al termine dell'intervista, la Storia con la S maiuscola e la storia personale di Chiyoko si incontrano nel presente, che è soltanto un punto di partenza per un nuovo futuro, simboleggiato dal ritrovamento della chiave perduta che Genya restituisce alla donna. Tale futuro vedrà di nuovo l'incontro tra la finzione e la realtà. Alla fine, infatti, ciò che emerge dalla storia di Chiyoko (sia il suo passato raccontato che il suo presente e futuro) è lo scorrere della Storia e della vita e di conseguenza anche l'ineluttabilità della vecchiaia e della morte, ma nella visione ottimistica e circolare di Kon, la morte non è che un nuovo inizio e una diversa prosecuzione di quella stessa ricerca d'amore che aveva sempre mosso e portato avanti la vita di Chiyoko.

    Pur non eccelsa, l'animazione di Millennium Actress è comunque di ottimo livello, ma quello che più colpisce dell'aspetto visivo del film è la grande bellezza dei fondali e la genialità di certe scelte cromatiche ed artistiche. Mi riferisco soprattutto alle scene in cui Chiyoko attraversa la Storia camminando attraverso quadri, stampe, immagini, riproduzioni disegnate di foto in bianco e nero (illuminate solo da alcuni sprazzi di colore, ad esempio il bianco-rosso delle bandiere giapponesi), pitture in stile primo novecento per il periodo Meiji, e così via. Curiosa anche la colonna sonora del compositore techno-electro Susumu Hirasawa, spesso in contrasto con le immagini.

    In conclusione il film non nasconde certo le proprie alte ambizioni e ci è mancato poco che non diventasse un cervellotico e presuntuoso esercizio iper-intellettualistico, ma per fortuna resta in primo luogo un appassionante film d'amore e avventura, con molte belle trovate visive, qualche alleggerimento comico e nessun momento di noia. Certo, è un film che si può gustare appieno solo se si mette in moto il cervello, ma anche senza capirne tutte le sottigliezze e le simbologie, è assicurato un bello spettacolo, senza dubbio intelligente. Resta il sospetto di un po' di compiacimento, il film può non piacere proprio perché più che agire a livello di sceneggiatura, lo fa su un piano simbolico e temporale, ma ha comunque la mia opinione positiva.

    Campeggio Gaio, Happy Campers o Maials Camping: la parodia di un film sull'adolescenza, che non è una parodia!


    Questo che ho visto per caso è sicuramente il film di uno che si è alzato un giorno la mattina e ha deciso di costruire un'intera pellicola su due semplici proposizioni: "un sorriso è un sorriso" e "la vita è una fregatura", vale a dire: il tautologico all'ennesima potenza. Di fronte a questa pellicola una volta di più mi chiedo: perché tale Daniel Waters, al suo esordio, ha tutti questi soldi da buttare letteralmente via per produrre un film esteticamente bello quanto assolutamente inutile?! Com'è possibile che si riesca ad essere così mancanti di talento a livello da non riuscire nemmeno a raccontare una storia con un minimo di criterio logico? Il terribile sceneggiatore del film avrà letto qualche fiaba, qualcosa che abbia una concatenazione causa-effetto, da piccolo?

    Mai visto un prodotto (sul serio, mai!) con una così totale mancanza di struttura, assolutamente incapace di trasmettere qualsivoglia emozione e in cui sentimenti e relazioni amorose fossero espresse talmente male. Ogni evoluzione nelle vicende sentimentali dei protagonisti rovina letteralmente su se stessa: degli sviluppi relazionali si illustrano solo le conseguenze o le si intuiscono da molto lontano. La pellicola dà l'idea allucinante e non voluta di un film visto da qualcuno che salta qua e là dei pezzi e ne ricompone frettolosamente il senso. Ogni avvenimento precipita nella storia come se gli stessi personaggi ne fossero già a conoscenza e non si potessero nemmeno stupire o non ne fossero mai realmente sconvolti. Anche di sessualità si parla a caso, non ci si ironizza e non la si prende nemmeno sul serio, proprio sulla scia del "né carne né pesce". Che orrore…bah, forse ho sbagliato ed era un film dell'orrore…allora me ne accorgo solo adesso, mea culpa! L'orrore di film di terribili che vengono prodotti uno sull'altro, mentre c'è gente qui che non riesce nemmeno a finire i suoi lavori. Che tristezza, ho addosso tutta l'angoscia di chi spende 20 euro per un libro pessimo: è un'amarezza ce non ci si toglie più di dosso!

    Ricapitolando: un film che non parla di sentimenti, né di problemi, in cui nonostante discorsi molto superficiali non c'è né un ordine da corrompere, né un disordine da costituire. Solo caos e casualità, all'infinito, un pizzico di surrealtà sparsa qua e là, un po' di droghe, molta schizofrenia, non si vedono adulti, non si scorgono adolescenti e nemmeno i loro stereotipi.

    Geniale, un film sul niente che parla di niente, che non riesce nemmeno ad essere erotico o un po' porno, un film da niente, ma confezionato come un cioccolatino Rocher (ed è questa la cosa che mi spiego di meno). La bellezza della fotografia è un insulto alla bruttezza del film e arriva, proprio per questo, a stonare pesantemente e dunque è anch'essa da bocciare. Questo film sarebbe dovuto essere girato a casa di una tredicenne con una MiniDV e si sarebbe detto dell'adolescente, che non era portata.

    Pessimo.

    lunedì 25 giugno 2007

    World of Predatorcraft

    Cinema e videogiochi si fondono ancora una volta.Girato, montato e interpretato da alcuni miei compagni di gilda, vi presento Predator reinterpretato in chiave WoWiana. Enjoy. :)



    Il link su WarcraftMovies.com e su Digg.com.

    Mazinga Zetto!

    Ahahah, meraviglia, ormai lo guardo ogni ora o giù di lì.
    Non so quanti di voi di siano nati e/o cresciuti a Genova, ma questa parodia genovese di Mazinga Z è fantastica.
    E non preoccupatevi se non capite il dialetto genovese, ci sono i sottotitoli.

    martedì 19 giugno 2007

    Politics, di Adam Thirlwell


    Dunque dunque…questo libro me lo prestò una carissima amica ventilandone i discorsi vagamente osceni ed erotici, ma non solo; diffidando allegramente l’ho praticamente divorato.

    A quanto ne so questa dovrebbe essere l’opera prima del giovanissimo autore (ventottenne), considerato, dicono, tra i migliori narratori britannici delle nuove generazioni. Il nostro londinese si è dato nel romanzo alla Sex Comedy, ma in maniera del tutto inaspettata, schietta da fare paura e scritta bene, semplicemente (de)scritta bene. Consigliando a chiunque, a tempo perso, di darsi a questa piacevole lettura, quantomeno per saperne di più circa la propria ed altrui sessualità, racconto un po’ di come una storia che sembra appunto trattare inizialmente di fenomeni legati alla sfera del sessuale, tra una serie curiosa di flashback e di flashforeward che sviluppano l’intreccio della vicenda, sia riuscita invece a parlarmi d’amore e di relazioni sentimentali, non solo di coppia. Si potrebbe obbiettare dicendo che forse tutta questa esplicitezza è gratuita, che magari punta proprio allo stupire, ma se si segue davvero la storia di una Nana che paradossalmente, pur essendo un personaggio ben determinato, rappresenta dal mio punto di vista una gran quantità di donne (e forse chissà, anche di uomini), ci si chiede come abbia fatto questo ragazzo a parlare di politica seriamente e in maniera più chiara di qualunque parlamentare italiano, di società, di teatro, di gentilezza e di morale, definendone in gran parte le caratteristiche e semplicemente concentrandosi sul sesso a tre. Politics è un esempio lampante di come le idee si possano costituire in una fitta trama di collegamenti, di connessioni logiche tra le cose e insieme di parole che rendono percepibile uno sguardo attento e pungente sulla realtà. Il narratore ci parla direttamente e in maniera anche molto furbesca, metaletteraria e ci trascina qua e là, dove vuole lui, col dito puntato a farci osservare fenomeni che nei rapporti umani si ripetono sempre, a livello di sia di micro che di macro realtà.

    In poche parole direi: un libro esilarante, intelligente, malizioso, alla fine sociologico. Un piccolo lampo di genio e una lettura alternativa per questa estate.

    Non piacesse o scandalizzasse, almeno è un libro curioso!

    martedì 12 giugno 2007

    Napoli Film festival

    Per chi è dalle parti di Napoli, la sera del 18 giugno al cinema Filangeri, può vedersi Joel & Ethan Coen fare una marchetta per promuovere il loro ultimo film, No Country for Old Men. Per i fan più feticisti la cosa può essere veramente interessante dato che parteciperà anche Frances McDormand, la poliziotta gravida più famosa della storia del cinema... O forse l'unica?


    Swear Jar

    forse poteva l'idea poteva essere sviluppata meglio.
    ma cmq è f.......divertente

    giovedì 7 giugno 2007

    This is Living

    Sony con PlayStation rivoluzionò il mondo dei videogiochi. Non tanto per i giochi stessi, anche se il 3D fu una novità tutt'altro che di poco conto, ma quanto piuttosto per il modo di pubblicizzare i propri prodotti e, di conseguenza, la percezione del pubblico nei riguardi degli stessi.
    Da prodotti per giovani maschi con qualche brufolo di troppo, i videogiochi diventarono non solo un qualcosa di cui non vergognarsi, ma addirittura di cui andare fieri e di cui fregiarsi con orgoglio. Sony riuscì a far piacere i videogiochi a gente che li aveva sempre considerati un qualcosa da sfigati.
    Nintendo ha portato avanti ulteriormente questa rivoluzione con le sue console più recenti, Wii e DS, ma ne parleremo in un'altra occasione.

    Simboli di questa rivoluzione sono le campagne pubblicitarie sempre più coraggiose e, se vogliamo, sempre più distaccate dal concetto di videogioco vero e proprio. Per il lancio di PlayStation 2, Sony ingaggiò addirittura David Lynch per creare gli spot.
    Lo spot che trovate qui sotto è la versione uncut di uno dei tanti che fanno parte della campagna This is Living, lo slogan che ha accompagnato il lancio di PlayStation 3, la nuova console di Sony. Se volete approndire, qui trovate i video degli altri spot.

    Il filmato è una piccola gemma di citazionismo meta-ludico, in cui il bello sta nell'individuare quali sono i giochi citati.
    E se qualcuno riconosce il pezzo di sottofondo, mi faccia sapere.

    mercoledì 6 giugno 2007

    ogni famiglia è psicotica


    mentre in italì la famiglia è un'entità da difendere da non meglio precisati attacchi, nel cinema indipendente americano è un soggetto da bistrattare e ridicolizzare in tutta la sua assurdità e (diciamolo) follia.
    Ora, fare una filmografia dei film che mostrano una famiglia ontologicamente folle nei suoi componenti e organizzazioni sarebbe un lavoro tropo grande.
    per ora meglio raccontare brevemente un film come The Squid and The Whale di Noah Baumbach che io conoscevo solo per essere lo sceneggiatore del memorabile The Life Aquatic With Steve Zissou.
    La storia parla di una famiglia "intellettuale" in crisi, con due figli di diversa età che affrontano diversi problemi tra cui quello enorme della separazione dei genitori con la conseguente spartizione della loro vita in due case, due strade ecc..

    il film ha evidenti e lampanti connotazioni wes anderseniane (???!!), e questo lo avrei detto indipendentemente dal fatto che il film stesso è prodotto da wes anderson. infatti non sopporto i giudizi su un film che vanno ad evidenziare l'influenza del più famoso produttore di turno (ricordo romance&sigarettes di turturro prodotto dai coen...e tutti a dire film coeniano, quando di coeniano ha poco o nulla, ma cmq) ma in questo caso la cosa è talmente lampante ed evidente che non si può non notare.
    c'è lo stesso umorismo "sottotono", lo stesso distacco ironico, la stessa ricerca di personaggi al di fuori dal tempo (qui siamo nei tardi '70) e cmq assolutamente riconoscibili e caratterizzati: lo scrittore fallito, il prof, il maestro di tennis, il ragazzino con comportamenti (e vizi) d'adulto.
    c'è persino un gioco musicale molto sottile sulla musica dei pink floyd che per certi versi rimanda al bowie in portoghese di zossou..
    quello che manca è il genio..l'assuoluta inventiva visiva di anderson, la ricerca dell'immagine giusta, del momento isolato dalla narrazione.

    grandi personaggi, belle e divertenti situazioni, alcune trovatone ecc..ecc..manca solo la scintilla per fargli fare il salto di qualità.
    rimane un bel film
    incompiuto.

    vado oltre?
    ma nooo.

    helvetica

    i documetari si fanno anche sui font.

    sabato 2 giugno 2007

    Omaggio ai cinema minori

    Proprio lo scorso weekend si chiacchierava col buon Stefano di come parlare dei filoni cinematografici dell'Europa dell'Est faccia molto figo negli ambienti accademici che contano.
    E noi, per non essere da meno, segnaliamo una perla di rara bellezza che ci arriva dritta dritta dalla Turchia... il Rambo turco!



    Direi che un "Mamma li turchi!" qui ci sta tutto. Che sia uno dei primi lavori di Ozpecoso?

    Splendido il bazooka a munizioni infinite (avrà attivato il cheat) e il ritardo con cui gli attori "muoiono" dopo un'esplosione. Lacrimuccia per gli effetti sonori delle pistole.

    venerdì 1 giugno 2007

    lost...."avanti tutta"...ffw

    la terza serie è finita.
    c'è voluto un po' a metabolizzare il finale, che apre nuove strade specie nella narrativa che andrà a giocare non più in "cosa succederà" ma in "cos'è successo".

    un colpo geniale ma, secondo me, rischioso..
    mooolto rischioso.
    ovvero, per tenere in piedi questa nuova linea narrativa ci vuole una scrittura con le palle, senza flessioni.

    se finora lost ha avuto alti e bassi, beh, dalla 4 serie non se li potrà più permettere,
    vedremo se sanno cioé che fanno.

    (già nella season finale, per me il fatto che il mentitore ben, dica la verità mi sembra un piccolo tradimento per lo spettatore..ma ne parleremo)


    ah, se "the others" sono i buoni per davvero.
    allora attendo con ansia i cattivi!

    nota negativa:
    jack non morirà.

    joost...la tv senza la tv?

    i creatori di kazaa prima e di skype hanno rivenduto tutto per investire i soldi nel progetto joost.
    e questo fa ben sperare per il futuro, dato che i tipi non ne hanno poi sbagliato molte.
    joost è un programma (windows e mac intel) che in teoria dovrebbe portare la tv sul computer, ma in maniera diversa da come fanno le numerose antennine per il digitale terrestre.
    joost infatti si ripropone di organizzare a livello globale la streaming tv, dettando nuovi parametri qualitativi e organizzativi.
    in poche parole ti colleghi a joost, guardi un po' che canali ci sono a disposizione, ne selezioni uno (che ne so, le notizie della routers) e guardi che video sono disponibili per lo streaming in quella data.

    per certi versi è un'evoluzione di democracy ma con la particolarità che in joost non scarichi una ceppa, hai tutto in streaming.

    detto questo, l'interfaccia è molto carina, la qualità diciamo più che sufficiente (ma hai bisogno di mooolta banda) e la programmazione..bhé, come per democracy, è un poco misera.
    non misera come quantità di offerta, ma come qualità
    vi sono alcune chicche, su tutte (per me) il canale che mette in streaming film muti e i vari canali dedicati ai cortometraggi.
    ma diciamo che non sarà certo abbastanza per attirare molti utenti.
    per il resto avete video musicali a volontà, e vari highlights di sport.

    ma cmq credo proprio che finché le major della tv non investiranno su questo progetto, rimarrà sempre marginale. il sogno consiste in avere disponibli serie tv e vari programmi, anche intervallati da pubblicità, ma cmq sempre a disposizione in streaming.
    cosa ostaggiata dalle varie tv satellitari e via cavo, ma che però consentirebbe in qualche modo di arginare la pirateria.
    per ora siamo ad anni luce da questo e la popolarità di joost risiede secondo me nell'esclusivo invito per poter scaricare la beta del programma..tutti desiderano ciç che non è a disposizione.
    invito, cmq, che io ho ottenuto in vie misteriose. e che mi appresto a girare a chi vuole.
    basta che me lo diciate in un commento a questo post.
    (a delu ho già provveduto, non so quanti me ne sono rimasti di inviti, ma proviamo)

    Le vite degli altri

    Se ne sentiva proprio il bisogno. Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio e la forza morale di denunciare quel vasto sistema di sopprusi e non rispetto della privacy che si era costituito in Germania dell'est. E chi lo sapeva che la Stasi spiava gli intellettuali dissidenti? E chi lo sospettava che a qualche ministro della DDR poteva non essere sconosciuta l'arroganza? é giunto il momento che la verità venga a galla, che si facciano distinsioni tra paesi autoritari e illiberali vicini all'Unione Sovietica, paesi che ti ritrovi i microfoni in casa, paesi che chi è al potere ha dei privilegi che tu non hai, paesi che per avere successo non conta il talento ma a chi la dai, e il nostro mondo di diritti.
    Repubblica e Corriere condividono in pieno la retorica de La vita degli altri; mi pare invece che questa ne costituisca il punto debole. Soprattutto coloro i quali devono ingoiare il rospo di sentire ancora gente che si ostina a sostenere che il capitalismo è più pericoloso del comunismo (tipo gli ultimi due papi), hanno accolto questo film come un'arma in più nelle loro mani. Me li immagino uscire dalle sale con un ghigno di soddisfazione a dire: "Ecco, vedete cosa succedeva là? Visto che avevo ragione?". Per la verità a me la storia del tizio spiato mi faceva venire in mente le intercettazioni, il gossip, i reality show. Mi faceva pensare a cosa succede ai dissidenti oggi dove i mezzi a disposizione dei servizi segreti sono un pelino più avanzati di quelli della stasi; io mi sforzavo di contestualizzare, ma a fare il ministro pappone e ignorante c'hanno messo la cosa più simile a Mastella che esista in Germania! La protagonista femminile invece è un'attrice che si concede al suddetto ministro per arrivare al successo. In questo, effettivamente, la diversità la si avvertiva: si sa che da noi attrici e veline vengono selezionate in base ad infallibili criteri tesi tutti a valutarne talento e bravura.

    La storia funziona ed è commovente, il film è ben fatto tanto che si fatica a credere che il regista sia un esordiente (giovanissimo)- i premi vinti sono meritati. Ma per dio, perché ridurlo ad un inutile documentario di rete quattro? o di raiuno?

    N-Io e Napoleone,

    I nuovi film italiani sono deprimenti. Le pellicole che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutte uguali. Non fanno che parlare di: ragazzo che cresce, ragazza che cresce, coppia in crisi, genitori, vacanze per minorati mentali. Che cosa è successo? Ho amato così tanto il cinema italiano degli anni '60 e '70 e alcuni film degli anni '80, e ora sento che è tutto finito. Una vera tragedia
    Quentin Tarantino. Qualche giorno fa.

    Probabilmente non si sarebbe divertito neanche con questo “N” di Paolo Virzi, in un’ora e mezza, manco un inseguimento sugli asini o un colpo di sciabola. Ma a me è piaciuto molto.

    C’è quella straordinaria capacità della commedia all’italiana di fare Commedia con materiale drammatico. Le forti tensioni sociali, gli amori irrealizzabili, i propositi di uccidere e di uccidersi non sono proposti in astratto o messi sullo sfondo di altri avvenimenti, ma sono lì, dentro la storia narrata ed espressi sullo schermo. E però il tutto è impacchettato da commedia, da storia (con la s minuscola) di persone credibili e reali, che s’incazzano e si scontrano e si sfogano. E funziona. E spesso fa ridere.

    La trama è presto detta: L’Imperatore in vacanza forzata sull’isola D’Elba ottiene come scrivano personale, il giovane intellettuale Martino, dedito alle belle arti e anarchico come tutti i ventenni. Il giovine lo odia al contrario degli altri isolani, ma accetta il compito di trascriverne i pensieri, pur di assaporare il piacere di vendicare tutti i morti ammazzati per volere del tiranno. Ce la farà? Certo che no.

    Tra gli attori: Auteuil interpreta l’imperatore sconfitto, ed è quasi scontato dire che lo fa magistralmente. Basta mettergli un cappello, ed è la copia sputata. Per di più, parla quel mezzo italiano con forte accento francofono che lo rende credibilissimo.
    Mai visto ma la Bellocci recitare così bene. Sarà che per il ruolo di baronessa di Città di Castello, snob ma un po’ cafona, parla il suo dialetto, quindi la voce non scazza come solito.
    E l’anarchico Martino è interpretato da Emilio Germano, pure in Mio fratello è figlio unico, che non ho visto, ma le mie amichette sedicenni dicono che lì abbia surclassato il nuovo idolo Scamarcio.

    davedere davedere davedere