giovedì 31 maggio 2007
Chi compra DVD pirata...
O così è quanto vuole farci credere lo "splendido" spot che, a quanto pare, passava un po' di temopo fa nei cinema italiani prima degli spettacoli.
Meraviglioso. Altro che gli spot francesi della campagna contro l'AIDS, tzè, questa è creatività vera.
Il videogioco perfetto per mia madre
Ora, immagino che il terribile pensiero stia cominciando a farsi strada nelle vostre menti e che l'orrore si stia impadronendo di voi. E a ragione, visto chs sì, qualcuno sta sviluppando un gioco basato su Dirty Dancing. Mi viene un po' la pelle d'oca solo a scriverlo...
Direi che non c'è nient'altro da aggiungere, se non la splendida vignetta di Penny Arcade al riguardo.
I've had... the time of my life...
mercoledì 23 maggio 2007
martedì 22 maggio 2007
Blood-The last Vampyre: cominciamo parlare di Anime
Ho rivisto di recente questo mediometraggio animato che intravidi anni fa senza dimenticarne le immagini impressionanti, ma avendo rimosso completamente nome e contenuto. Rivendendolo ho capito perché e ho deciso di dedicarmi con fervore alla visione della serie televisiva che ne è stata tratta (Blood+) e che attualmente è visibile solo in Giappone, ma che un gruppo di fan chiamato Full Metal Alcoolist ha deciso di diffondere sottotitolato in italiano. Mi sono detta, visto che su questo blog si parla di moltissime serie Tv, che tra l’altro conosco poco perché non le amo moltissimo, o che forse semplicemente non conosco, che sarebbe bello parlare anche di Anime (e di meravigliosi ne conosco una valanga) e di serie manga! Dato che pecco in serie tv ma ho visto tonnellate di cartoni animati, da oggi verserò il mio contributo in questo senso.
Parlando invece di Blood, the last vampyre, ecco la vicenda. Anni sessanta. Yokota, base militare americana in Giappone. Alla vigilia dello scoppio della guerra del Vietnam, un gruppo di agenti segreti giunge dagli States per far luce su alcuni misteriosi casi di suicidio avvenuti fuori e dentro la base. Tra questi uomini in nero c'è anche Saya, una giovane dal volto perennemente corrucciato, che nasconde dietro all'immagine di comune liceale un'attività di cacciatrice di vampiri. E proprio ai vampiri si devono queste morti sanguinose; vampiri (o chirotteri) che si nascondono tra i comuni soldati o addirittura tra i loro famigliari. A fare da spettatrice a questa cruenta caccia al demonio, che per ironia della sorte avrà luogo durante la festa di Halloween, sarà una mite dottoressa che, dopo aver aiutato Saya nell’impresa, sarà costretta a negare tutto alle autorità. Blood the last vampire è definita come l'opera più commerciale e disimpegnata a cui l'Oshii autore, per inciso quello post-Lamù, ha prestato il suo nome. Il mediometraggio è diretto da Kitakubo Hiroyuki e fa parte di un progetto "multimediale" concepito dalla I.G Production, comprendente anche 3 romanzi (il primo dei quali, La notte delle bestie, scritto appunto da Oshii), un manga, e un video-game per
Blood è stato presentato come il primo anime interamente realizzato in digitale. Sono stati combinati due tipi di animazione diversa: quella tradizionale su rodovetro (applicata però al supporto digitale e non alla pellicola) e la moderna Computer Graphic 3D. Il tratto è originalissimo e atipico per un anime, assai ricco di dettagli, è ammirevole l’uso delle luci e delle ombre, che sfruttano le migliaia di sfumature messe a disposizione dalla grafica digitale, assolutamente indispensabili all'atmosfera transilvanico-gotica che si è desiderato ricreare nell'ambiente militare della base americana. Questo anime è stranamente affascinante, tanto da colpire lo spettatore alla prima visione. Innanzitutto lo stile si allontana da quello tipico dell’animazione giapponese, avvicinandosi invece a quello del cinema, dalle parti di Kitano. Difatti la prima parte del film, escluso il folgorante incipit, è costellata di numerosi tempi morti, che accumulano azione col passare del tempo, la quale esplode poi in tutta la sua violenza nella parte conclusiva della pellicola.
Il lato tecnico è stupefacente: i colori sono sfumati, caldi, soffusi, in modo da rendere le sequenze scure come l’animo delle creature assassine e da disorientare per quanto riguarda la collocazione temporale, restituendo in maniera immediata l’idea di un personaggio fuori dal tempo, proveniente, come capiamo da una vecchia foto della famiglia Vampyre, da un passato remoto e destinata a vivere sempre le stesse esperienze, a sterminare, in ogni tempo, forse il suo stesso genere. L’ambientazione rimanda agli anni cinquanta, o a quelli legati alla fine della seconda guerra mondiale, ma alcuni elementi discordano con questa teoria, lasciando lo spettatore ancora una volta in una condizione di dubbio. La regia è fortemente realistica, non ci sono inquadrature “impossibili” da riprodurre nella realtà, forse per dare maggiore solidità alla storia, per renderla più credibile. D’altronde non si può classificare Blood the last vampire come un semplice film sui vampiri. La profondità dell’approccio eleva il discorso affrontato su di un piano che prevede riflessioni filosofiche e sociologiche, in particolar modo è posto l’accento sul concetto di razzismo, sulla futilità della guerra (discorso che verrà portato avanti moltissimo nella serie Tv, parlando della guerra in Vietnam e del rapporto forzato con gli Stati Uniti che il paese vive come un peso ancora oggi). Questo risvolto non è immediatamente chiaro, solo nel finale si intuisce il vero senso dell’opera, nel gesto simbolico della protagonista, apparentemente fredda e meccanica, considerabile un efficientissimo strumento da guerra, che vive una profonda ed inaspettata pietà per il chirottero che ha appena ucciso, quasi potesse capire le sue ragioni e suoi bisogni, facendogli bere il proprio sangue (anche se si vede poi nella serie come il sangue di Saya sia veleno per i vampiri). L’aiuto che lei fornisce va al di là delle mere considerazioni di tipo morale, tocca una sfera più universale, cioè la necessità di saper convivere con il prossimo, vanificata dalla natura umana, che, spietata ed egoista, soddisfa la regola della scelta razionale. Tutto ciò porta l’uomo a distruggere il proprio simile, in un’apoteosi di violenza insensata, la cui essenza storica è rappresentata dalla guerra. Le immagini che fanno da sfondo ai titoli di coda mostrano momenti bellici: il vero vampiro, si sa, è l’uomo stesso, alla continua ricerca di sangue altrui e di soddisfare i propri istinti omicidi.
Un’anime che mi ha colpita per la fattura, per le immagini potenti e commuoventi oltre che tanto particolari da disorientare un po’, che sottendono a ricerche formali, come quella sul colore, che sembrano appartenere molto più al mondo dell’illustrazione francese che a quello delle serie giapponesi, ma anche per la vicenda che si lascia solo intravedere e che sviluppata poi nella serie si dimostra capace di raccontare anche
Una storia violenta
Scritto da John Wagner, uno dei punti fermi del fumetto inglese da più di trent’anni, vincitore di diversi Award per le sue sceneggiature, creatore dei soggetti ad esempio di Judge Dredd e Button Man e disegnato da Vince Locke, autore di “cosucce” come Deadworld, Sandman e American Freak, questa Graphic Novel rispecchia bene il titolo che si porta appresso. Identica nel prologo a all’incipit del film di Cronenberg (anzi, è il film a cominciare nello stesso modo), per il resto si differenzia notevolmente dalla pellicola, che da questo ha preso ispirazione. Tom ripercorre nella seconda parte del fumetto un unico forte episodio della sua gioventù: una ragazzata compiuta per assecondare un amico il cui fratello era stato ucciso a sangue freddo da un boss della mafia di Brooklyn, che dà l’idea di come ci si possa trovare in certe pericolose situazioni un po’ per bisogno e un po’ per assoluto caso. Il piano di furto e di contemporanea vendetta dei due adolescenti va in porto segnando anche il più grande massacro di boss della Mafia della storia americana, il nostro Joey-Tom riesce a fuggire con una parte dei soldi (l’altra era destinata alla cura della nonna malata) e ad andare molto lontano a rifarsi la vita che vediamo all’inizio, mentre sembra che l’amico Richie, avendo ostentato troppo la sua conquistata ricchezza, sia stato individuato e soppresso dal figlio del Boss principale, tale Manzi. Detto tutto questo, la storia in tutta la sua semplicità e sinteticità si fa agghiacciante nella terza parte del racconto, quando facendo un baffo alle peggio torture di Hostel, con tanto di trapani e di fiamme ossidriche, si vede Manzi aver tenuto in vita per più di vent’anni, a scopo di ricatto e vendetta ovviamente, quello che ormai è il cadavere vivente di Richie, il quale, dopo essere finalmente stato liberato da Joey, gli chiede di ucciderlo, poiché ridotto ormai a una sofferente maceria umana.
Che dire?! E’ davvero una piccola grande storia violenta, disegnata con tratto rapido e approssimativo, dai toni cupi e profondi, che dà una costante idea di movimento e che in effetti trasmette una notevole inquietudine, ma tutto sommato un fumetto impreciso, soprattutto nel rendere le fisionomie dei personaggi, quasi non fossero loro ad avere importanza.
Del film in effetti, visto ormai un bel po’ di tempo fa (2005), ricordo la freddezza dei personaggi, la loro impermeabilità, quasi che non fossero loro a raccontarsi percorrendo la loro vicenda, ma a parlare fosse la vendetta stessa che si autodescrive e solo in parte denuncia.
Di Cronenberg inutile parlare, resta in ogni cosa che fa uno dei miei idoli. L’aspetto più perturbante del film e del racconto per me è nel modo in cui viene raccontata la storia di violenza o la storia delle violenze. Il film funziona, anche esteticamente, secondo la stessa dinamica di base del fumetto, per poi però andare oltre e raccontare molto di più, facendosi inevitabilmente complesso.
La famiglia perfetta di libro e film, gli Stall che rappresentano l’umanità comune e bonaria, l’uomo semplice insomma che è in ognuno di noi, tranquillo e inerte come siamo potenzialmente tutti, di fronte all’evento inaspettato tira fuori il suo imprescindibile lato violento. Il film parla di una violenza inestirpabile, di una storia che è sempre uguale, che segue ogni volta le stesse dinamiche psicologiche, reiterata nella metamorfosi non solo di Tom, ma anche della moglie e del figlio maggiore (si esclude la bambina biondissima, quasi a voler la sciare fuori l’infanzia da questo ragionamento sulla componente più istintiva ed autodifensiva dell’essere umano). Il fumetto circoscrive l’uso della violenza ai soli personaggi “perduti”, volontariamente malvagi o in crisi, invece il film estende il discorso a tutto e chiarifica le dinamiche di esplosione della personalità anche sugli altri componenti della famiglia. Tom Stall ha conosciuto la violenza, degli altri e di sé stesso e ha scelto di allontanarla da sé, per poi scoprire durante la vicenda raccontata da Cronenberg che la natura violenta è la sua natura, profonda, ancestrale, non sradicabile, pronta ad esplodere in qualunque momento anche senza particolari motivazioni, una rabbia feroce irragionevole o dettata dalla difesa. Così nella pellicola anche la moglie Edie (che nel romanzo invece è un personaggio quieto, buonissimo e appena abbozzato, comunque non credibile) e il figlio Jack scoprono la loro violenza, per poi ritrarsi con addosso la paura che la loro oscurità possa riemergere, dalla carne e dalla mente.
In entrambi i casi il titolo resta enigmatico e geniale: Una storia violenta viene raccontata come vanno raccontate le storie che parlano di violenza, in maniera precisa, consapevole, senza fronzoli stilistici, con azioni secche e descrizioni immediate,accompagnato dalla fotografia netta e fredda del sempre geniale Peter Suschitzky, che ha lavorato a lungo col regista. Resta buona l’interpretazione di Viggo Mortensen, assolutamente perfetto per il ruolo e sorprendente nel cambiamento della personalità che si legge nei minimi movimenti del suo volto, solitamente non troppo espressivo, quando passa da buono a cattivo: nei primi piani è come se cambiasse sguardo, ha gli occhi degli schizofrenici (e io ne so qualcosa), ricorda ancora Spider. Ancora una volta nei film di Cronenberg la violenza si fa malattia, qualcosa di invasivo e contagioso, né giusto né sbagliato, né positivo né necessariamente negativo, semplicemente qualcosa che cambia e che spiazza. Si parla di nuovo di metamorfosi, ma lo si fa ancora meglio, in maniera sempre più secca e pulita, efficace e anche aiutata da budget più alti.
Rispetto al romanzo le modifiche narrative sono moltissime: il nome del protagonista è stato cambiato da Tom McKenna a Tom Stall, John Torrino è diventato Carl Fogarty e il nome del figlio di Tom è stato cambiato da Buzz a Jack. Nel libro Millbrook si trova nel Michigan mentre nel film è nell'Indiana (ma come spesso fa Croneneberg, il tutto è stato girato in Canada) e i boss non sono più di Brooklyn ma di Philadelphia. Secondo una rivista tedesca, David Cronenberg e lo sceneggiatore John Olson (pluripremiato per questo lavoro) hanno cambiato i nomi che sembravano italiani per evitare di anticipare i legami con la mafia. Il più grande cambiamento rispetto al libro riguarda il personaggio di Richie e la sua fine. Nel romanzo, lui e Tom sono amici d'infanzia, mentre nel film sono fratelli, modifica narrativa che amplifica moltissimo passato e presente di Joey. Mentre nel libro Richie viene catturato dai mafiosi e mutilato, nel film è un boss mafioso e tenta di uccidere Tom, il quale gli spara per fuggire. In conclusione a parte l’incipit il film prende tutta un’altra piega, è molto diverso dal romanzo, ma il significato della novella non cambia di una virgola, anzi, viene fatto percepire ancora meglio.
Consiglio a chiunque la lettura dell’uno e la visione dell’altro (nonché di tutta la filmografia di Cronenberg, s’intende!!)
Due parole sul Diavolo veste Prada.
In entrambi i casi rimane un’idea molto malinconica del dedicarsi al proprio lavoro: il film lascia addosso la sensazione che per raggiungere alti livelli nel mondo del lavoro si debba rinunciare a molto della propria vita e della propria umanità, mentre il romanzo lascia spazio alla scelta consapevole e volontaria di strade alternative e più gradevoli, ma attraverso i personaggi secondari, come Alex e Lily, getta anche luce su un’inquietudine di fondo che l’autrice forse inconsapevolmente ha voluto raccontare, senza tuttavia chiarificarne l’origine e della quale ha dato idea senza in effetti parlarne mai. Al romanzo anche il “merito” in più di far percepire l’ansia di una vita condotta secondo un senso del tempo assurdo, davvero accelerato, dando l’idea che per molti non spingere il proprio assetto psico-fisico all’estremo equivalga necessariamente a non fare nulla della propria vita, cosa che insomma, potrebbe anche essere una scelta legittima, sacrosanta e consapevole!
lunedì 21 maggio 2007
domenica 20 maggio 2007
sabato 19 maggio 2007
potremmo in qualche modo gemellarci
e più che altro, hanno uno dei migliori nomi di sempre, per un sito di cinema.
Film School Rejects
venerdì 18 maggio 2007
Habemus RSS feed
Per ora il link è brutalmente schiaffato a destra, e diciamolo, fa abbastanza schifo a guardarsi. Ma funziona, cosa da non sottovalutare. Se qualcuno è in grado di migliorare l'aspetto del tutto, si faccia avanti.
martedì 15 maggio 2007
Il trailer del nuovo film della Pixar?
No, è il trailer di Team Fortress 2, gioco multiplayer di Valve che sarà allegato a Half Life 2: Episode 2.
Figo, non trovate?
dalla francia, col gondone (ovvero col preservativo)
meravigliosa, meravigliosa, meravigliosa (versione straight e gay)
capolavoro.
d'altronde c'è chi ha preso la bastiglia
e chi ha il famly day.
(via boingboing.com)
Big Nothing
1-Jean-baptiste andrea, con billy asher ha creato una sceneggiatura non male, al limite tra il noir classico e la commedia nera. molto ritmo, molte idee, alcune risate. peccato poi che J-B andrea l'abbia diretto, questo film.
2-negli anni i "nuovi registi" hanno scopiazzato un po' di tutto: da tarantino, de palma ecc..ecc. ma non avevo mai visto qualcuno "ispirarsi " così tanto ai primi lavori dei coen. in particolare la sceneggiatura di big nothing ha molti elementi e ricorrenze coeniane (il ricatto, il morto-non morto, il logorroico, i criminali improvvisati, l'avidità, l'eleminazione dei protagonisti, l'idea del falso ecc, Jon Polito...), il che è curioso e interessante. Peccato che poi la regia sia quantomeno sopra le righe, con schermi divisi, momenti clipponi ecc.
Insomma, big nothing è un film coeniano girato da un tamarro.
dovrei aggiungere altro?
cosa?
ah, la trama.
charlie (il david schwimmer friendsiano) è un ricercatore disoccupato che inizia a lavorare in un call centre per aiutare la moglie poliziotta a portar la pagnotta a casa per loro e loro figlia.
al call centre conosce gus (simon pegg di hot fuzz..qui ciccionissimo..mi chiedo come abbia fatto a perdere tutti quei kili in meno di un anno, tra un film e l'altro). Il quale gli propone di ricattare il prete del paese, avendo in possesso i tabulati delle sue visite in siti non francescani. al duo si aggiunge poi la femme fatale di turno Josie (alice eve). IL piano è semplice ma le cose non vanno come previsto.
ripeto, c'è il lavoro sul genere (dalla voce off e oltre), personaggi quantomeno interessanti, morti ben studiate, una struttura che sta in piedi ecc..ecc..
ripeto nuovamente: per molti versi assomiglia a di Blood simple con più ironia.
peccato che questo tipo di lavoro sul noir sono quasi 20 anni che si fa.
e con più stile.
cmq film consigliato, giusto per mettersi lì e pensare: oddio, cosa poteva diventare questa storia in altre mani.
interspecies erotica, ovvero Sleeping Dogs Lie
ecco la prima frase del film, in voce over dopo un flash back della "vicenda" che accompagna i titoli di testa.
inizia così la commedia SENTIMENTALE sleeping dogs lie: amy (maestra d'asilo) sta per sposarsi con john e viaggiano a casa dei parenti di lei per ufficializzare la cosa.
tutto bene finché tra i due non scatta il giochino del "condividiamo i segreti" ed esce fuori il pompino al cane ai tempi dell'università e tutto cambia: amy si vede bistrattata da john e dai suoi religiosissimi genitori e cerca affetto in un suo collega ec...ecc..ecc.
film indipendente, borderline, di bob goldthwait, che trae vantaggio da un accadimento quantomai emm "forte" per una commediola su come i segreti nella vita di coppia facciano bene ec..ec..ec..
la cosa che stupisce è proprio questa, che un film "benstilleriano" (alcuni momenti sono simili a meet the parents) sia costruito attorno a un pompino a un cane senza però riuscire mai ad essere dissacrante e/o ad aggiornare il genere commedia sentimentale. infatti, a parte qualche montaggio ad effetto (cani protagonisti) e un'ideona che coinvolge Elvis (vedrete), il tutto rimane un po' scialbo, banaluccio, prevedibile; non c'è mai l'apoteosi del turpiloquio del quale smith è maestro, come non ci sono scorrette gag farrelly brothers' style.
Rimane un film che non è carne né pesce (parlando di animali) e con un difetto strutturale di base anche per una commedia sentimentale "classica" ovvero il "far perdere" il personaggio che allo spettatore risulta più simpatico e complesso (John), per portare al centro della vicenda un personaggio quantomai insopportabile.
insomma, un film che ha consumato tutto il suo coraggio nella battuta iniziale.
Si gioca coi ricordi
Rifacimento per Xbox Live Arcade di Prince of Persia, grande classico di quasi (oh cribbio...) 20 anni fa.
E poi, una perla più recente.
Trailer del livello di St. Francis' Folly tratto da Tomb Raider Anniversary, rifacimento del meraviglioso e indimenticabile Tomb Raider.
E per chiudere, il trailer del seguito di uno dei giochi più belli, e folli, mai creati. Questo che trovate qui sotto è il trailer di Osu! Takakae! Ouendan 2, seguito dell'omonimo rhythm game per Nintendo DS. Una piccola gemma di puro divertimento.
lunedì 14 maggio 2007
ugly betty in italia.
e ripeto: prendete il diavolo veste prada, aggiungetevi:
- una protagonista veramente bruttina (no la solita gnocca "imbruttita" da un maglione di lana, coda di cavallo e occhiali).
- un background messicano, con i segreti di famiglia, l'immigrazione, l'abbigliamento e arredamento dai toni vivaci ecc. (questa è la novità più grossa della serie).
- alcune macchiette ben riuscite anche se scontate (il gay, la gnocca superficiale con disturbi alimentari ecc..)
- un po' di thriller e un mistero (che davvero poco c'azzecca con la serie).
il risultato finale è una serie anche piacevole da vedere, ma che ripropone pedissequamente la struttura delle serie classiche tradizionali, solo adattandola con situazioni e personaggi più originali.
struttura che è:
1-betty affronta le prese per il culo dei colleghi-macchiette (gag)
2- il suo capo ha un problema
3 il problema appare insormontabile
4 il capo sta per gettare la spugna facendo vincere l'antagonista di turno
5 betty interviene e risolve il problema
6 altre gag su betty e i colleghi
7 il capo la ringrazia
8 betty torna a casa dove con la famiglia ha problemi ben più grossi che quelli del capo, riflessione sulla vacuità della moda rispetto ai problemi reali di tutti i giorni.
9 però poi in famiglia ci si vuole tutti bene, nonostante i casini.
Se non sapete che fare e in tv c'è ugly betty, ok guardatela a cena o mentre preparate da mangiare.
se volte cercare invece una commedia che funzioni davvero, recuperatevi The office US.
venerdì 11 maggio 2007
Lost, ovvero persi sulla via dell'inferno?
ma parliamo d altro per un attimo.
dunque, nelle ultime 2 puntata (18-19 se non ricordo male) con l'atterraggio sull'isola della "missione di soccorso per desmond" e la relativa notizia che l'aereo è stato ritrovato nel fondo dell'oceano con tutti i passeggeri a bordo (morti), ha ripreso piede l'ipotesi che l'isola sia in qualche modo un luogo nell'aldilà.
a un certo punto la cosa è stata anche urlata, mettendola in bocca al padre di locke, che a seguito di un incidente stradale si è risvegliato sull'isola e fermamente convinto di trovarsi all'inferno.
a questo punto è lecito chiedersi, è una teoria possibile o no?
brevemente e con le prime cose che mi saltano in mente (ditemi voi le altre)
perché sì:
- sull'isola si vede la gente morta (ultima la mamma di ben, ma pensiamo al padre di jack, al compagno di manicomio di hurley ecc..)
- la nuvolona nera: cerbero o cos'altro?
- si spiegherebbero in questo modo tutte le stranezze dell'isola (locke cammina, hurley non perde peso, la gente guarisce dai turmori ecc..)
- tutti i personaggi sono in qualche modo colpevoli e peccatori, tutti hanno qualche cosa da scontare (sawyer, il coreano, la coreana, sajid. mr echo eccc..)
- il segnale lanciato dalla barca di desmond...ci dice che l'isola è situata dove non dovrebbe esserci che mare.
perché no:
- sull'isola si muore (sarebbe un po' una vaccata se si morisse anche da morti, no?)
- l'immaginario tecnologico anni '70. non vedo perché l'inferno non debba essere up to date.
- perché è stato troppo detto dalla serie. non credo che con 2 serie ancora da fare (ebbene sì lost finirà dopo la 5 serie) si giochino già la risoluzione in questa maniera.
ecc..
a questo punto se di aldilà si tratta credo che sia meglio ipotizzare che l'isola sia un territorio di confine, un "Portale" tra questo e quel mondo, scoperto e studiato anni fa dai ricercatori per essere poi infine soppressi dagli originari abitanti dell'isola (che siano i vivi o i morti nn so).
il problema è che si entrasse a parlare di portali e mondi paralleli, non se ne uscirebbe più (se non con la tartaruga magica).
giovedì 10 maggio 2007
hot fuzz
Per tutti quelli che, come me, se pensano a qualcosa Hot al cinema non gil appaiono davanti agli occhi tette e culi ma bensì i migliori momenti di hot shot! (1e2), bhè, è il momento di dare un'ammodernata al vostro orizzonte.
ma facciamo un passo indietro.
tutto è nato con Spaced (1999-2001).i tre sceneggiatori simon pegg (anche attore dei film), edgar wright e jessica stevenson hanno messo in piedi una serie tv parodica del genere fantascienza.
anni dopo ccc scrivono insieme la sceneggiatura di Shaun of the dead che è probabilmente il migliore film commedia inglese del decennio (ma anche di più), sarei anche tentato di parlarne ora, ma non mi sembra il caso.
invece affrontiamo hot fuzz, che ripropone gli stessi attori protagonisti di Shaun e nel quale wright dopo la fantascienza e l'horror, affronta l'action movie.
la trama ripercorre una fin troppo collaudata struttura narrativa: il cittadino che per un motivo o per l'altro si ritrova imprigionato in un paesino rurale (da doc hollywood a cars).
infatti Angel (Simon Pegg) è un poliziotto cazzuttissimo e severissimo con se stesso che presta servizio a londra, un professionista vero e pronto a tutto, Un giorno i suoi superiori lo trasferiscono in un paese sperduto nella campagna inglese perché la sua presenza ed efficacia a londra fa sfigurare tutti i poliziotti.
lui parte di malavoglia e fa fatica ad ambientarsi in un mondo in cui tutti chiudono un occhio davanti a crimini minori e la più grossa effrazione della legge sembra essere il furto di patatine in un supermercato e il suo impegno più gravoso consiste nel recuperare un cigno fuggito al suo padrone.
fin qui la struttura classica procede paro paro, ma con un montaggio serrato e quanto mai opportuno.
poi tutto cambia.
ovviamente qualcosa di losco accade nella cittadina il nostro eroe lo scopre e può sfogarsi in sparatorie, inseguimenti mozzafiato, scazzottate, fino a un combattimento godzilla style (giuro che è vero).
come in shaun of the dead, hot fuzz esterna la voglia di cazzeggio che è in tutti noi o, per megio dire, il giocatore di sparatutto che è in noi. ci propone situazioni e azioni che sono solo puramente divertenti, godibili, in un contesto in cui un calcio in faccia ad una vecchietta è cosa buona e giusta (così come sparare a un prete, ma questa è un'altra scena).
rispetto a shaun of the dead, però, la storia è decisamente più piatta e anche quando vuole prendere binari alternativi finisce con il ripetere qualcosa di già visto, non allontanandosi poi molto dalle strutture "classiche" hollywoodiane.
cosa lo salva e lo fa diventare un film piacevolissimo da guardare è il coraggio nello stile, l'ironia più sottile dei film parodistici americani e la volontà consapevole di mostrare un cinema d'azione al minimo comun denominatore (di nuovo, lo sparatutto) aggiornando nello stesso tempo un linguaggio cinematografico che esaspera il taglio tarantiniano e di rodriguez.
non dico altro non aggiungo altro.
non mi interessa il fatto che questo film evidenzi la chiusura della campagna inglese verso l'elemento alieno, privilengiando un solido mantenimento di uno status quo da cartolina ec..ecc..
ci sono inseguimenti, sparatorie un buon ritmo e una decina di battute memorabili. e questo mi basta.
non è shaun of the dead, d'accordo.
ma è un film fresco e godibile, di quelli che in italia non se ne fanno da decenni (più di 4 decenni, per l'esattezza)i
lunedì 7 maggio 2007
Fast food nation - la banalità del "bene"
Richard Linklater è un regista che non è facilissimo da inquadrare
l'unica cosa che uno può dire tranquillamente di lui è che gli piace lavorare con ethan hawke. altro non so.
per il resto ha una filmografia molto ricca (è tra gli autori che han girato di più nel 2000) e variegata (da before sunrise a school of rock passando per waking like, e tante altre cose che non vi cito nemmeno, sempre tra l'indie e il mainstream).
questo fast food nation è uno dei suoi film più dichiaratamente impegnati, più voluto, forse (tematicamnente) più coraggioso, non so.
il film doveva essere un documentario, cioé questo nell'idea del giornalista Eric Schlosser quando gli ha proposto di rendere per immagini il suo libro/ricerca Fast food nation: the dark side of the all-american meal , poi linklater ha risposto una cosa tipo guarda son contento che hai cercato me per sto film, ma un documentario proprio no, ed ecco che ha creato questa storia con diversi personaggi di diverse età ed estrazioni che (a sentire il regista nella sua intervista a Sight&Sound) rappresentano tutti degli elementi autobiografici. Insomma, da un documento di denuncia contro il trash food e i suoi derivati il regista texano ne ha fatto un racconto suo, molto suo (a suo dire).
personale ma che gli ha causato molti problemi con distributori quali la wall mart e un boicottaggio a diversi livelli.
la trama.
una multinazionale concorrente di macdonald e burgerking per il mercato dei fastfood viene a sapere da una ricerca universitaria che ci sono tracce di merda (letteralmente, cacca..) nei loro burger. Per reazione mandano nel luogo di "produzione" uno dei loro manager (interpretato dal sempre più immennso Greg Kinnear) giusto per vedere che cosa c'è che non va.
nello stesso tempo assistiamo alla storia di un gruppo di mexicani che valicano la frontiera proprio per lavorare nella macellazione dei bovini, proprio per la produzione dei merdosi burgers, ovviamente fanno una vita di merda, perdono braccia e gambe nel lavoro, le tipe sono oggetto di molestie sessuali e si drogano ec..ecc..
nello stesso tempo siamo alle prese con la vita di una cara diciassettenne che lavora dietro il bancone vendendo i merdosi burgers. ha una mamma che fa "la giovine" (patricia arquette) e uno zio che si è giocato la carriera per il suo spirito rivoluzionario durante l'università (Hawke) e..insomma, alla fin fine si licenzia e aderisce a un imberbe gruppo di pseudo no-global con il quale provano a fare evadere le mucche destinate al macello.
mi fermo qui.
io del film non mi sono mica fatto un'idea. ha delle risonanze talmente banali e buoniste in mezzo a cose assolutamente carine.
ma proviamo a fare il giochino del più e del meno.
film da vedere perché:
perché è inutile essere tutti lì ad esaltare Report e beppe grilo, poi quando il cinema americano prova a fare una cosa di denuncia (con il suo linguaggio) diventiamo tutti cinici e diciamo evabbé buonismo di merda. Linklater riesce a parlare in un filmino di: immigrazione clandestina, additivi chimici nelle carni (legali), produzione di cibo di massa e tutti le sue innaturalezze, l'economia senza scrupoli e le sue azioni (illegali), idealismo giovanile e le sue conseguenze, la facilità di girare la faccia dall'altra parte. Cioè non ha fatto un capolavoro ma ha creato un ponte per veicolare informazioni in un formato diverso (e più godibile) del scimmione scimmiotato micheal moore.
Perché ha delle chicche e interpretazioni notevoli dalla arquette a hawke..ma a svettare è Kinnear con una recitazione sempre meravigliosamente sottotono.
Perché tutto sommato è una storia carina, con un buon ritmo e che, dai, funziona.
Perché no:
perché i temi sociali trattati dal cinema americano assumono quel tocco di artificiosità e di già visto insopportabile (non è un caso che in questo "genere" in europa abbiamo una marcia in più). Specie nella storia dell'immigrazione c'è un po' troppo: dalle droghe, al capo che chiede favori sessuali, agli incidenti mortali ecc.. non metto in dubbio che queste cose accadano, ma in un film meglio sceglierne una e le altre falle trasparire in un altro modo, non devi mica gridarmerle tutte nell'orecchio.
perché anche a 46 anni linklater sembra sempre fare film "generazionali" da e per ragazzi. ora, capisco che allo stato attuale delle cose non esistano esponenti di spicco delle nuove generazioni, ma però questo non vuol dire che i gggiovani vadano sempre e comunque raccontati così. Ammicca troppo linklater, dice troppo non riuscendo poi perfettamente ad integrare il lato "denuncia documentata del libro" a quello finzionale del film.
perché in ogni caso dai film indipendenti ci si aspetta qualcosa di nuovo e di diverso non solo tematicamente. non chiedo un'avanguardia, ma insomma, se non sperimentano un po' con il linguaggio film che in ogni caso non hanno il peso di una grande distribuzione, chi lo può fare allora?
dovessi riassumere il tutto, film da vedere..ma "cresci richard, che non hai più 20anni".
giovedì 3 maggio 2007
Una vita a tempo di film
Sull'ultima scena del film mi accorto del parallelo che la mia vita degli ultimi dieci, o poco più, anni ha avuto con i film di Kevin Smith. È quasi inquietante la precisione con cui le sue pellicole hanno scandito il passare del tempo ed è impressionante come, per tanti versi, il suo crescere, maturare e invecchiare sia stato anche il mio.
1994, Clerks. Il periodo del cazzeggio, degli anni passati all'università a fare finta di studiare, a dare esami controvoglia nel tentativo di prolungare la giovinezza. Il film è in fondo molto simile: sboccato, irriverente, divertente fino alle lacrime, ma con la stessa voglia di non crescere, di rimanere ragazzi ancora per un po' e di godersi la mancanza di responsabilità.
1995, Mallrats. Questo l'ho visto anni dopo l'effettiva uscita, in DVD quando ormai mi ero trasferito già a Londra, ed è probabilmente il film meno ispirato di Smith. Va bene, non c'entra abbastanza un cazzo con la mia vita, ma andava citato per dovere di cronaca.
1997, Chasing Amy. Uno dei miei film preferiti di tutti tempi. Ancora incazzoso, sboccato e con gemme comiche di rara bellezza ("You fucking tracer!" o "Now that, my friend, is a shared moment."), ma cominciano a sorgere i primi segni di maturità. Le riflessioni sui rapporti tra le persone e le perle di saggezza che Silent Bob elargisce nella tavola calda sono cose che non si dimenticano facilmente, e dimostrano come, nonostante non abbia perso la sua vena comica, Smith abbia cominciato a pensare ad altro.
1999, Dogma. Per me l'anno che ha segnato il cambiamento netto è stato il 2000: ad aprile mi sono comprato la moto, poi rivenduta pochi mesi dopo, a giugno mi sono trasferito a Milano per lavoro e a ottobre ho mollato baracca e burattini e mi sono trasferito a lavorare a Londra, dove ancora risiedo. E contemporanamente, o quasi, Smith affronta un tema "spesso" come la religione. A suo modo, certo, ma è evidente come il periodo delle domande e delle riflessioni sia ormai avviato e inarrestabile.
2001, Jay and Silent Bob Strike Back. Smith cerca di riportare in vita il genere delle slapstick comedy. Il film è una serie di citazioni di citazioni di citazioni prese dagli altri film di Smith, dai lavori altrui e da altri media come internet e la televisione. Ci prova quasi seriamente a tornare il ventenne o poco più che tirò fuori dal cilindro Clerks, ma la vena non è più quella di una volta. E io nel frattempo mi adattavo a colpi di pinte di birra al mio nuovo stile di vita e cercavo di fare il cazzone a mio modo.
2004, Jersey Girl. Questo è nettamente il film che ha marcato la maturazione di Smith, ormai sposato e con una figlia (o un figlio?).
Non so perché, ma mi è sempre sembrato il perfetto "seguito" spirituale di Chasing Amy. Se in quest'ultimo Ben Affleck doveva accettare il passato movimentato della non così lesbica Alyssa (You're dating Fingercuffs?! Holy fucking shit!), in Jersey Girl invece ha a che fare con questioni molto meno "esotiche" come una bambina da accudire, un padre che sta invecchiando e ha paura di morire da solo e il desiderio di inseguire il miraggio di una vita passata. I temi sono simili per certi versi, quello che è diverso è l'età del regista e dello spettatore.
Io non ho vissuto niente di simile, lo confesso, ma mi sono accorto di essere cambiato con Kevin Smith perché il film mi è piaciuto, e molto. E mi sono anche reso conto che un film del genere, ai tempi di Chasing Amy, così come Smith non lo avrebbe mai girato, io non lo avrei mai voluto guardare.
2006, Clerks II. Si torna al Quick Stop, e si torna con la mente a quegli anni. Per Dante e Randal si tratta di ricordare delle giornate scanzonate passate nel negozio (o sul tetto dello stesso a giocare a hockey e a bere Gatorade), per me si tratta di ripensare al 30 meno 1 di Storia del cinema perché non mi sono ricordato che cazzo di avvenimento storico veniva nominato nel newsreel con cui si apriva Citizen Kane (l'invasione della Baia dei Porci, per la cronaca) e a tanti altri episodi più o meno felici (ti ricorda niente Pieve Ligure, Andre?).
Un film su come tutto cambi e come tutto rimanga uguale, come a dire che, invertendo l'ordine degli addendi, il risultato non cambia. O forse il risultato può essere diverso se lo si vuole davvero.
Non sono mai stato interessato alle persone famose, ma Kevin Smith è forse l'unico che vorrei davvero conoscere, per scoprire se quanto sopra è solo frutto dell'ora in cui sto scrivendo o sei ci sia qualcosa di vero.
E intanto un grazie a quello che è probabilmente il mio regista preferito, non tanto per la qualità dei suoi film, che adoro, ma per come mi faccia pensare ai fatti e alle cose e fare le 5 del mattino per scrivere su un blog.
Buona notte, o buongiorno, a tutti voi, amanti dell'interspecies erotica.