martedì 31 luglio 2007
il mugugno è "di mare"
gira con penelope cruz e con la johansson, per dire.
ovviamente il fatto che barcellona faccia da sfondo a un film di woody, non è mica cosa da ridere.
il comune ha finanziato in parte il film.
ovviamente per girarlo, sono state chiuse strade al traffico ecc..ecc..
e ovviamente è scattato il maxi-mugugno.
per i mac-users
è uno dei miei programmini preferiti per il mac, si chiama tvshows e, come dice il nome, ti invita a scegliere il tuo spettacolo preferito, ti chiede a fino a che puntata l'hai seguito, e ogni volta che online si trova un episodio nuovo ti scarica il torrent e te lo apre con il bittorrent client preferito.
se siete ancora legati per oscure ragioni all'impero del male, potete fare la stessa cosa "a mano" partendo dal sito tvrss.net, copiare i feed dei vostri programmi preferiti, incollarli sul vostro Reader del caso (anche google reader, per dire)
e non appena vi è qualcosa di nuovo, scaricare il torrent e aprirlo con il vostro client.
ovviamente da utilizzare per cose non protette da alcun copyright, o no?
fuori due.
sarebbe bello pensare a un astuto serial killer di cineasti moderni europei (per certi versi, come biasimarlo?) ma si tratta di banale vecchiaia e malattia.
nel caso di Antonioni, dire che perdiamo un grande regista è dire una belinata.
quello lo avevamo già perso una ventina d'anni fa.
lunedì 30 luglio 2007
the exterminators
mi sono accorto che in questo blog non si parla abbastanza di fumetti.
ed è subito ora di porvi un rimedio, quindi ve ne propongo un po' questa settimana, quasi tutti targati Vertigo, per il semplice motivo che la Vertigo è il migliore editore di fumetti Maturi. punto.
di 100 bullets e di Y:the last man ne ho parlato in più occasioni.
ora invece iniziamo da The Exterminators piccolo grande gioiello scritto divinamente da Simon Oliver e disegnato da Tony Moore.
come si capisce da queste righe, a me The Exterminators garba. assai.
un po' perché per gli insettophobici come me a leggere le avventure di disinfestatori si divertono sicuramente.
un po' perché bisogna apprezzare un fumetto così dannatamente tosto e pieno di idee.
un po' perché il tratto di moore è bello pulito e affascinante.
un po' perché creare una storia a partire dallo sconosciuto mondo popolato da gente che si guadagna i pane uccidendo scarafaggi..lo può fare solo uno con le palle quadre.
e Oliver queste palle quadre ce le ha.
protagonista di questa serie è henry james. ex galeotto e appunto dipendente della bug - bee - gone, compagnia di disinfestatori presieduta dal compagno di sua madre.
il buon hj è in una relazione un po' in crisi con una donna in carriera e un po' lesbica, non entusiasta del nuovo lavoro del suo compagno e impelegata in una multinazionale con affari poco chiari.
ok.
poi
attorno a HJ si dipanano una serie di personaggi non da poco, dal vietnamita esperto in insetti, alle lavoratrici di una sorta di bordello intellettuale, dove i clienti - in sale apposite - possono rivivere le situazioni dei loro romanzi preferiti (ma non andiamo oltre).
aggiungeteci il draxx un insetticida che può venire iniettato per endovena con risultati piacevoli (per poco) e che ha la controindicazione di favorire un anomalo sviluppo negli scarafaggi, un misterioso scarabeo dorato e uno scrigno nazista per avere il quadro completo.
infatti abbiamo una componente paranormale non ancora sviluppata
una bella componente "vita di tutti i giorni" con evoluzioni sentimentali e altro.
una componente "complottistica" governativa
e tanta bella azione quotidiana nella lotta agli insettacci maledetti.
onestamente da un punto di vista meramente di costruzione narrativa ha poco di originale. anche perché ormai è difficile fare qualcosa di nuovo nel fumetto.
certo non ha la straordinaria caotica ricchezza di 100bullets (tra le produzioni "nuove" tuttora inarrivabile),
diciamo che il disegno sembra ricalcare uno stile pulito pulito portato al successo in casa Vertigo da Y:the last man. ed è un tratto che a me piace molto
ma se bisogna osservare una particolarità stilistica quella è la capacità alla bisogna di inserire stili diversi nella vignetta (vedi vignettone a destra) dimostrando ancora una volta una totale adattamento della componente visiva e artistica a quella narrativa, offrendo una posizione per seguire la storia, la più agevole possibile.
per concludere, una storia originale
disegni molto belli e utili alla narrazione
il tutto rendono The exterminator quel genere di fumetti che si leggono in un sorso e in grado di aperture mica da poco.
per ora sono disponibili (in inglese) due graphic novels che coprono fino al numero 10 della produzione.
vi faccio sapere per eventuali aggiornamenti
The Simpsons Movie
quindi concentriamoci sul film, stando attenti a non spoilerare.
e proviamo a dare giudizi tagliati con l'accetta, giusto per.
dunque raramente un prodotto nato per la tv, ha creato un decente corollario sul grande schermo.
specie le commedie.
prendendo il film di southpark "bigger, longer and uncut" come esempio di passaggio riuscito. possiamo bocciare subito the simpsons, come bocciammo idealmente il film di Family guy "stewie griffin the untold story".
cioè come film non funziona. non tiene bene i 90 minuti
la trama
Springfield ha dei seri problemi di inquinamento, in particolare legati al loro lago. dopo una prima bonifica, l'inquinamento riprende costringendo il governo americano ad adottare drastiche misure, isolando springfield dal mondo.
ovviamente homer ha la sua parte in tutto ciò e le conseguenze per lui e la sua famiglia si rivelano catastrofiche.
Cosa salvare.
- molte gag sono sempre notevoli, superiori in qualità alle ultime presenti nelle più recenti e stanche serie.
e i gioco sull'essere sul grande schermo, funziona..dalla scritta di bart sulla lavagna "non scaricherò questo film" ai titoli di coda (non fuggite subito).
ve ne sono molte notevoli e da vedere e rivedere, così come i riferimenti al mondo disney, e all'attualità.
- vi è un tentativo reale di utilizzare visivamente le possibilità del grande schermo. la qualità dell'immagine è quasi sorprendente per noi abituati a vedere la famiglia gialla in tv, e anche nella composizione delle inquadrature vi è un'attenzione non da poco.
- come detto i soliti riferimenti cinematografici, culturali e letterari: a me è sembrato di vederne uno molto chiaro e ovvio a "la notte del drive-in" di lansdale, tra gli altri.
Cosa buttare via.
- la particolarità dei simpsons è sempre stata la "varietà narrativa". una storia che inizia in un modo, che prende inaspettate direzioni, per poi cambiare nuovamente e risolversi.
qui la storia va invece in una precisa direzione dall'inizio alla fine. ed è una direzione così smaccatamente scontata, banale, prevedibile che uno ci rimane un po' così.
ci sono tutta una serie di eventi "telefonati" che sfiorano l'imbarazzo. sembra quasi che per paura di perdere il filo della storia nei 90minuti, gli autori abbiano pensato di renderla il più quadrata possibile.
ovvero di fare una storia "forte" ma scontanta, nella quale inserire battute e gag brillanti. la cosa funziona solo a metà perché questa storia che viaggia così liscia e senza alcun repentino cambio di direzione, alla lunga intacca anche ciò di buono presente nel film.
- l'abbandono dei personaggi secondari: appaiono sullo sfondo, a mò di macchietta e appaiono praticamente tutti. ma nessuno che "lasci il segno", nessuno in grado di aprire una storia nella storia o di distrarci per un tempo superiore a quello di una battuta.
non vado oltre, anche perché in italia uscirà il 14 settembre e campa cavallo prima che lo vediate (nella pubblicità affermano un'uscita in contemporanea worldwide...se, tranne che in italì)
e per concludere, sì..rispetto alla produzione attuale dei simpsons, questo film è un buon colpo di coda.
ma, nulla di innovativo, nulla che faccia anche solo accendere nella testa la lampadina "capolavoro" e nulla che ti spinga subito finito il film a nasconderti nei cessi del cineama e reinfilarti nello spettacolo successivo.
dovessi dare un giudizio di valore con una parola lapidaria dire.
"carino"
Voi non potete entrare
bambini, rumorosissimi, insopportabili, insolenti e sgrufolanti (poi in irlanda il tutto va moltiplicato per 5). Un incubo. Nelle società occidentali si fanno meno figli e gli si dà troppo potere, ed ora eccone le conseguenze.
calcolando poi che siamo nella società "gli schiaffi non aiutano a crescere" il risultato è disastroso.
film più "controllati" per poter garantirne la visione anche ai suddetti piccoli mostri, sale cinematografiche ridotte a luna park, merchandising feroce e vendita di cibi sempre più rumorosi in ogni cinema.
film bambinizzanti, orari di proiezione sempre più bambino-free (qui sta sparendo l'ultima proiezione della notte...e aumentano quelle alle 13.30), ecc...ecc..
insomma, un disastro sia da un punto di vista testuale, sia "esperienzale"
roba che ti tocca attendere l'uscita del dvd per vedere quelle tette, culi e violenza che erano stati tagliati per consentire l'accesso a tutti, ma accompagnati.
fatico a ricordare l'ultima volta che sono andato in una sala senza avere bambini attorno.
considerando poi che i divieti vengono aggirati da genitori complici e allora siamo posto
perché, un conto è andare a vedere un film pixar e beccarsi bambini (lo sai, te lo aspetti, ti prepari cercando la proiezione meno baby friendly che si possa ritrovare)
ma la cosa sta degenerando in più direzioni.
qui chiudo la mia mozione: proibiamo in toto le sale cinematografiche ai minori di anni 16...o creiamone apposta (sì, sì, ghettizziamoli)
intanto a quanto si dice il cinema sta morendo lo stesso..tanto vale farlo morire con dignità.
e poi volete mettere la valvola di sfogo per i genitori? aver la scusa di uscire di casa lasciando i pargoli alle babysitter del caso.."sai tesoro, noi ti porteremmo con noi, ma nei cinema non puoi entrare, ci spiace molto".
i bambini che si godano la tv HD, le meraviglie dell'home theatre e gi extras di qualche film con orsi parlanti.
tenetevi il capitano jack
ridateci callaghan....
sabato 28 luglio 2007
Pirateria o promozione ?
Di questi elencati ho visto Californication e Pushing Daisies. Il primo ha come protagonista David Duchovny, scrittore in crisi creativa e coniugale (la moglie e' interpretata da Natascha McElhone) che passa da una donna all'altra come classica vendetta nei confronti della moglie che l'ha mollato ma di cui e' ancora innamorato. Diciamo che dopo anni di astinenza con Scully si rifa' ampiamente... Tra i due una figlia dodicenne gia' alquanto smaliziata. Dialoghi e scene forti (inizia con lui che sogna di entrare in chiesa ed una suora con le sembianze delle sua attuale amante gli propone un pompino anziche i soliti classici padre nostro o ave maria...), prodotto come Weeds da Showtime. Notazione da maiale televisivo: chi volesse vedere quanto e' cresciuta bene la bambina che interpretava la figlia del sig. Sheffield in "La Tata" e' accontentato... Qualcosa mi dice che non lo vedremo mai in Italia se non come appunto Weeds all'una di notte ad agosto.
Qui cmq c'e' il promo sottotitolato:
Pushing Daisies riprende invece il filone di Tim Burton, sia come situazioni che come personaggi, strani e grotteschi (i produttori sono infatti quelli di Big Fish). Il protagonista e' un bambino che scopre di avere il potere di riportare in vita qualsiasi essere vivente morto (vegetale o animale), ma se lo tocca di nuovo questi muore per sempre, e se non lo tocca entro un minuto un altro essere vivente nei paraggi muore a sua volta (non si capisce pero' con che criterio). Dopo l'inizio utile ad introdurre il personaggio, con un flash forward si arriva ai giorni d'oggi, e si vede come il bambino ormai uomo decide di sfruttare questo suo dono. Il regista del pilot e' Barry Sonnenfeld (Men in black), anche produttore esecutivo. Al momento previsti 13 episodi a partire dal 26/9/07.
Qui c'e' il promo senza sottotitoli (ma si capisce abbastanza.... ):
giovedì 26 luglio 2007
gggiovani autori italiani a venezia
da repubblica.it:
(sottotitolo era:Tre gli italiani, tutti giovani: Paolo Franchi, Vincenzo Marra e Andrea Porporati)
Gli italiani. Quanto alla presenza italiana, sarà giovane e, si suppone, di qualità. In gara ci saranno Paolo Franchi (38 anni) con "Nessuna qualità agli eroi" con Elio Germano; il napoletano Vincenzo Marra (35 anni) con "L'ora di punta" protagonista Fanny Ardan e Andrea Porporati (autore, tra l'altro, della nona serie della "Piovra" e del film "Crociati") che presenterà "Il dolce e l'amaro" con Frabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio e Donatella Finocchiaro.
Solo in italia un 38enne e un 35enne dietro la macchina da presa è definito giovane (per non parlare di Porporati..del quale hanno omesso opportunamente l'età.cmq ne ha 43..)
noi abbiamo sempre avuto serissimi problemi di ricambio generazionale, in ogni campo.
..e in un settore artistico questo problema, per me, ci causa un handicap non da poco.
però..ehy....La notizia è che sono ggggiovani (????)
(poi vorrei sapere perché se è cinema italiano bisogna sempre supporre che sia di qualità)
lunedì 23 luglio 2007
weeeeeeds..
"ufficiosamente" (si tratta di pre-air)
è tornato Weeds
terza serie.
un inizio forse un po' sottotono rispetto ai suoi standard.
ma ehy..
weeeeeds....
la serie tv con il miglior personaggio dell'intero panorama audiovisivo mondiale (il cognato della protagonista).
appena qualcuno farà l'action figure di lui, sono pronto a comprarlo.
Scene da un colossale business. Harry Potter V e tutti vissero ricchi, felici e contenti
No anzi, ho visto anche il primo film, ma anche quello in maniera trasversale. In pratica, sono il meno indicato per giudicare questo (5°) episodio della saga. Me ne stavo in sala e non coglievo né i vari riferimenti ai personaggi, né i flashback. Ma in questo post non voglio solo spoilerare la trama e dirvi cosa mi è piaciuto, mi interessa anche raccontarvi il tutto da un punto di vista “antropologico”. E parto dall'inizio serata.
Mi presento con due minuti di ritardo (per colpa della mia caviglia malandata) e con la tessera esercenti della mia ragazza. Ma alla cassa son tutti sorridenti, la tessera non viene controllata, ed in 30 secondi sono in sala. Addirittura all'ingresso, la maschera mi apre gentilmente la porta e ci augura una buona visione (ma forse anche questo dipende sempre dalla mio andamento claudicante, un po' faccio pena). Comunque il cinema è quasi pieno, il film è già cominciato, è in perfetto orario. Troviamo posto vicino allo schermo e quindi sospendo il giudizio sulla cura degli effetti surround (mi spiace ste); in pratica sentivo solo una potente colonna sonora sparata dal centro.
Il film è abbastanza scuro, si è sempre nella scuola o al “ministero della magia”. Gli effetti speciali son meravigliosi, splendidi quelli buttati lì, sprecati nelle scene minori: quadri viventi sullo sfondo, una ragazza che cambia volto e colore dei capelli a piacimento. Mi perdo la scena iniziale dove Potter è costretto a sfoderare le sue arti magiche, mi dicono fosse bella paurosa. Comunque, quel fatto scatena una reazione “politica” del ministero per la magia e alla scuola arriva un antipaticissima professoressa che, in nome di una nuova moralità, rallenta l'apprendimento pratico deglii aspiranti maghi. E a quel punto Harry reagisce e allestisce una sorta di madrassa per giovani combattenti, che al momento opportuno saranno in grado di difendersi e attaccare. Finale logicamente aperto dato che mancano due episodi.
Ma torniamo all'antropologia.
Mamme felici e papà mezzi addormentati ma bambini e ragazzini (e la mia ragazza) erano in delirio. Il Potter sfodera carattere da leader e affronta tutti con buona rabbia. E alla scena del bacio, ho visto tanti cuoricini spezzarsi. Giuro, quella di fianco a me a iniziato a tirare calci dall'emozione.
L'intervallo è durato non più di due minuti, tempo di arrivare al bar, e mi perdo l'inizio del secondo tempo. Poco male, due ragazzini di fronte a me commentano ogni scena, saranno lì seduti dal pomeriggio, ed in poco tempo capisco cosa sta succedendo. Poi arrivati al terribile scontro finale, il ministro se ne esce con una stupida battuta tipo: “Allora avevate ragione” ed il pubblico che ha sempre rumoreggiato in modo poco plateale, ora lo sbeffeggia apertamente... e alla fine quasi parte un applauso commosso, perché qua davvero tutti vissero felici e contenti: sia il ragazzino, che la sorellina che la mamma si son divertiti, (pazienza il babbo che s'è abbioccato), e se almeno la metà di tutti quei quindicenni, spegnesse poi la play per leggersi quei mattoni degli ultimi episodi, HP andrebbe reso obbligatori a squola. Pure il produttore e l'esercente, ma anche la cassiera e il proiezionista, vivranno forse più felici e contenti, sicuramente più ricchi.
Dopo 5 film e 7 libri ci son ancora scene di isteria di massa, sia per il film che per il libro. Il film li spinge al libro, il libro li rimanda al cinema; pubblicità, effetti speciali e merchandising fanno il resto. Questo è puro business, arte (minuscola) ben confezionata, e venduta al meglio. Però il prodotto soddisfa tutti, non ha controindicazioni, è adatto a tutti e sotto sotto, se vuoi, ci trovi pure del buon Cinema (o della buona Letteratura).
Complimenti a Hollywood.
martedì 17 luglio 2007
Ma secondo voi, parte seconda
Tarantino ha ragione riguardo al cinema italiano?
Davvero il cinema italiano versa in una situzione così tragica?
Lo ammetto, a me il cinema italiano, quello recente quanto meno, non è mai piaciuto molto. Il perché non lo so nemmeno io di preciso, ma penso che abbia a che fare con la mancanza di determinati generi e l'abitudine degli autori italiani di menarsela un po' con temi "seri". Manca un po' la via di mezza tra il cinema impegnato, o sedicente tale, e le vanzinate. Però ripeto, sono molto ignorante al riguardo, quindi non vado oltre.
Voi che ne sapete sicuramente di più di me, cosa ne pensate?
Il nuovo corto di Pixar
Carino, niente di più.
Già che ci siamo, segnalo un altro corto Pixar che mi mancava, One Man Band.
Questo invece è splendido.
Ah, quando diamine esce Ratatouille?!
sabato 14 luglio 2007
ma secondo voi??
da economist.com
Digital cinema | The final frontier | Economist.com
io alla famosa conferenzona di vienna sono uscito sconcertato da quanto venga dato per defunto il nostro amato cinema.
cosa della quale non sono molto convinto (il cinema morira' quando avremo le macchine volanti).
pero' nemmeno mi aspettavo che REALMENTE delle sale si convertissero al digitale..
la mia idea e' che digitale o pellicola, il cinema continuera' ad esistere e afunzionare come siamo abituati che funzioni. (a pensarci bene anche l'home teather ricrea le condizioni di fruizione della sala..sorround, schermi piatti ec.).
ecco, secondo voi DAVVERO il fatto di poter veder un film su un ipod (ma chi lo fa?) mette a repentaglio la salone cinematografica??
il cinema sparira' come rito comune??
dove andremo a palpare le ragazze? sugli autobus??
meditate gente
meditate
martedì 3 luglio 2007
Politique des auteurs ou des producteurs?
Caso vuole che alla stessa edizione del festival (2004, credo) ci fosse anche Tarantino che presidiava un rassegnone sui filmacci italici anni ’70. I film li facevano a mezzanotte, e quelli che non riuscivano a infilarsi a bere birra gratis nelle feste private dove invece Baskjev sguazzava “come un prete in una scuola elementare”, ci andavano per fingere che il loro snobismo autoriale fosse superiore al richiamo della birra gratuita.
Io ovviamente ero lì (a vedere i filmacci, non alla festa), ed ebbi modo di assistere ad una proiezione di un film che amo particolarmente, Cannibal Holocaust, alla presenza di Tarantino, Dante, Deodato e tanti altri dropout come me. Durante il dibattito seguente alla proiezione il noto autore texano chiese per ben due volte a Deodato come aveva realizzato la suggestiva sequenza di evirazione: “Gosh, it… wow! It looks like real… I mean... Ouch!”, al punto che all’uscita un mio conoscente, che peraltro è una persona seria e si occupa di product placement per una nota casa di produzione, predisse che nel successivo film di Tarantino ci sarebbero state tante evirazioni. Eppure, come avrà notato chi ha visto Grindhouse, nulla di tutto ciò. Allora? Che ne è della politica degli autori? Ebbene, Tarantino ci dà la risposta in Hostel 2, dove, complice un cameo di Ruggero Deodato, impone la propria continuità autoriale al filmaccio del suo protetto (ecco il producer’s cut che vedete riprodotto nella foto): con un gesto zizekiano e klossowskiano, viene stabilito il primato della politique des producteurs su quella des auteurs. Baskjev, ancora una volta, era ahead of his times!
domenica 1 luglio 2007
I Pirati dei carabi, ovvero la saga dell’un due tre…
Dunque dunque, non è certo con chissà quali pretese da cinefilo che si va a vedere un film della Walt Disney, anche se le saghe del passato (prima tra tutte Indiana Jones), dal mio punto di vista, a livello di funzionalità e attrattiva nulla avevano di meno di un bel Signore degli anelli!
Sono andata a vedere tutti e tre gli episodi della triade (che speriamo non si accresca) di Gore Verbinski più che altro perché mi attraevano le scenografie, davvero, moltissimo e per l’idea di un Pirata che lo fosse davvero, frode fino al midollo osseo, simpatico quanto egoista. In tutti e tre i film (il secondo, per chi non lo sapesse, è La maledizione del forziere fantasma, 2005 e il terzo Ai confini del mondo, 2006) il personaggio di Johnny Depp nel ruolo di Jack Sparrow è perfetto, soprattutto in apertura al terzo, quando si trova chiuso nello scrigno del cattivissimo capitano Jones, appunto ai confini del mondo, a stretto contatto con le molteplici sfaccettature della sua mente. Un po’ folle, un po’ dandy e molto ambiguo, Sparrow è la perfetta declinazione autoironica dell’eroe e il suo è l’unico personaggio che resta coerente fino alla fine. Tutti e tre i film vivono essenzialmente della meravigliosa fotografia di Dariusz Wolski e del plusvalore spettacolare dato da tutto ciò che è pro o post filmico, dunque scenografie, costumi, effetti speciali e quant’altro, ma se il primo era interessante, il secondo insopportabile, soprattutto per la banalità dei dialoghi, i tempi morti e stramorti, l’orrenda vicenda amorosa e la pessima recitazione soprattutto di Keira Knightley (in questo film alla peggiore interpretazione), il terzo stupisce all’ennesima potenza per la rappresentazione del magnifico Olandese Volante, già nucleo essenziale del secondo episodio e fa acqua da tutte le parti per quanto riguarda la storia. Non che i risvolti narrativi non siano accettabili: la strega è in realtà la dea che catturò il cuore di Jones, dai confini del mondo si torna per ribaltamento alla realtà, si entra nel cosmopolitismo pirata, si passa dal film “arti marziali” al romantico, all’orrorifico e via dicendo, i padri vengono in aiuto ai figli, incluso lo stranissimo Keith Richards nella parte del padre di Jack, un’alta dose di spirito anarchico…insomma, le trovate c’erano e io personalmente sono rimasta sconvolta dai granchi-pietra dell’inizio (atmosfera davvero onirica), ma ad un certo punto, in tutta questa rocambolesca serie di avvenimenti, ci si accorge di non aver capito quasi nulla, si ha la netta sensazione di trovarsi a metà di Dynasty, quindi nell’infinito e ci si annoia, ci si annoia a morte. La mia opinione è che questa saga, anzi, questo film, sarebbe potuto essere, per le trovate e la fattura, un vero capolavoro, se una produzione sempre più bieca e dominata dal cattivo gusto (nonché dall’evidente necessità di vendere gadgets forse per pagare i propri attori), non avesse molto probabilmente imposto di farne tre episodi. La storia si poteva e si doveva risolvere in un unico film di massimo tre ore, con tutte le sue trovate magari concatenate meglio, in maniera più semplice, lineare e senza quella marea di scene in più, che anche un bambino di tre anni riconoscerebbe come aggiunte in maniera forzata.
Peccato, un grande, spettacolare, buco nell’acqua, di cui resteranno non i film, non l’invito alla rivolta di un certo sistema e all’anarchia, ma poche tracce, come appunto la figura di Sparrow nell’interpretazione di Depp e il mitico Olandese Volante.
Nashville, di Robert Altman, 1975
Mi è capitato di vedere questo film di cui avevo parecchio sentito parlare e dato che la mia intera filmografia su Altman è carente, credo che dopo aver visto questo mi farò una bella esplorazione di tutto quel che ha prodotto, che non è poco!
Nashville è praticamente la rappresentazione cinematografica del celebre festival di country music dell’ormai famosa capitale del Tennessee, ad è stata anche un’occasione per allestire il più grande happening della carriera del regista: una sorta di set itinerante continuamente in movimento lungo il territorio della città. Altman è riuscito ad imbastire una trasparente allegoria del suo Paese, visto, sorpreso e analizzato nel corso di gioioso quanto macabro “rito di massa”. La manifestazione musicale è l’escamotage attraverso cui il regista squaderna sullo schermo un viluppo di storie, fatti, suoni e colori che sfondano subito i confini fisici di Nashville e della sua popolazione, ridotta a “campione umano”, esaltato dal ricorso al formato largo; in questo modo ciò a cui disperatamente la produzione degli anni Cinquanta si aggrappava per rilanciare l’unicità della visione in sala, diventa in mano agli autori del film in questione molto più che un orpello tecnico (quello che poi, purtroppo, ultimamente è ridiventato). In questo film l’uso del Panavision è servito davvero! Permette infatti di catturare porzioni di realtà impensabili per un taglio televisivo, pur restituendo l’idea di una specie di cronaca, di qualcosa di unito, ma allo stesso tempo di frammentario, che necessita di un completamento (o ne dà l’impressione) da parte dello spettatore. In Nashville la fotografia, associata ad un consapevole uso della profondità di campo e dello zoom, si è trasformata in uno strumento eccezionale per chi abbia interesse a sottolineare la compenetrazione tra l’individuo e l’ambiente che lo contiene.
Il film lo definirei quasi un “ipertesto”, nel quale del resto una serie di operazioni sono ben lungi dal limitarsi all’aspetto visivo: l’autore infatti ha riposto anche nel sonoro della sua opera parte integrante del senso in gioco, sperimentando per l’occasione un all’epoca innovativo sistema di registrazione a ventiquattro piste, l’unico adeguato al tipo di lavoro che si prefiggeva di realizzare. La restituzione fedele di voci e rumori, slogan e canzoni dispiegati nel tentacolare universo del film è pertinente al suo proposito di fornire al pubblico quanto più materiale visivo, sonoro e umano fosse in grado di mettergli a disposizione, da cui ogni singolo spettatore potesse attingere per costruire il “proprio” film. Per forza di cose, il set diventa l’intero nucleo urbano: gli eventi si rincorrono e non si capisce più se il cinema insegua la musica o viceversa. Arriva gente da tutti gli Stati per partecipare o assistere al Festival di musica, ma negli stessi giorni Nashville è teatro di un evento parallelo, costituito dalla campagna di un fantomatico politico (che non appare mai) candidato del “Terzo Partito”. Naturalmente c’è tutto l’interesse, da parte di chi lavora per lui, nel canalizzare l’evento musicale a favore della riuscita elettorale e questo è lo sfondo sul quale il film inscrive il suo materiale umano. Tuttavia la macchina da presa del regista rimane sempre in “superficie” e difficilmente si preoccupa di adottare un’ottica di tipo emotivo: in continuo movimento, essa si cura bene di non avvicinarsi mai troppo al suo materiale umano e nel film non si trova praticamente traccia di primi piani, da sempre lo strumento principe del linguaggio cinematografico in fatto di approfondimento psicologico. Per tutto l’arco del film si ha la netta sensazione di stare “dalla parte” di qualcuno, quasi che noi stessi fossimo diventati gli operatori di questa specie di “documentario”: un sensazione assai curiosa. Ma è solo uno dei tanti tranelli dell’autore: la sua scrittura “superficiale” non privilegia niente e nessuno, puntando ad un certo punto il mirino della macchina da presa direttamente contro la platea, durante il concerto finale, nella quale gli spettatori si guardano tra di loro con espressioni interrogative, come se proprio tra loro (noi) dovesse ad un certo punto accadere qualche cosa.
Forse non soddisfatto della forte critica inflitta ad un popolo che pur di far continuare lo spettacolo di vecchi mostri, pur di non doversi preoccupare direttamente delle cose, intona “It don’t worry me” anche dopo un omicidio, il regista non lascia fuori dalla sua accusa nemmeno lo spettatore cinematografico, il cui ruolo privilegiato di neutro osservatore poteva far credere d’essere esentato dall’invettiva.
Nasville mi ha stupita molto: per la sua struttura composita, corale, per le storie dei molti personaggi assurdi quanto realistici che si intrecciano nello stesso ambiente, per la capacità di descrivere i costumi di un luogo in una determinata epoca attraverso la musica e in maniera così fluida, per cui da un personaggio si scivola sull’altro in continuazione, sul filo di un destino invisibile che sembra legarli e che si associa alle caratteristiche dell’ambiente in cui vivono (è vero che Altman è un po’ antropologo!). Mi sembra espresso con chiarezza e senza alcuna retorica il disagio generazionale di una comunità che vuole tagliare i ponti con il suo passato, con il rispetto per i vecchi padri e ormai usurati simboli. Il ragazzo che spara alla famosa cantante country (e questo genere musicale viene preso in giro e martoriato dall’inizio alla fine, semplicemente mettendo lo spettatore di fronte all’evidenza di quanto ormai sia invecchiato e inadatto al tempo cambiato) lo fa poco dopo che ella ha concluso una canzone proprio in omaggio a tutti i padri e le madri d'America, come se a quel punto non avesse più potuto fare altrimenti. La musica di questa cantante è bella, interpretata bene, meglio di molti altri che sentiamo nel film, ma rappresenta qualcosa di già passato, di ormai contaminato dallo Star System e di rivolto su se stesso, incapace di evolvere: che ha fatto, in sostanza, il suo tempo.
La musica si fa manifestazione vivente di qualcosa di ormai morto e sepolto. La mancanza di rispetto verso il passato, per certi estremi anche criticabile, la si nota nella figura della modella che non considera la zia nemmeno in punto di morte e che frivola e superficiale, è diventata ormai apparenza totale. Tom invece, il cantante belloccio, cerca l'amore vero in una madre di famiglia, la quale rappresenta probabilmente un mondo pensato come puro, ma in realtà ormai contaminato da un presente moralmente più caotico del passato.
Nashville è senza dubbio una fortissima denuncia al mondo dello spettacolo, in nome del quale la gente è disposta a vendersi con facilità pur di avere un momento di celebrità, come fanno la cameriera stonata o la stessa Barbara Jean (la cantante famosa), che ha ormai esaurito le sue energie nella costante applicazione di un sogno che l'ha distrutta fisicamente e che forse apparteneva più a sua madre che a lei, o che probabilmente non poté nemmeno scegliere. E’ una critica al giornalismo, soprattutto televisivo, vano e superficiale, attratto dal sensazionalismo e portato avanti in maniera ingenua (convincente quanto fastidioso il personaggio interpretato da Karen Black), è un film sulla contaminazione, prima di tutto tra vecchio e nuovo, che ci porta da un estremo all’altro, vale a dire dall’adesione totale e conservatrice al passato, al distacco totale e crudele dalla storia e dal vissuto personale. Girata un po’come se fosse un documentario e anche un musical, è una pellicola dal ritmo calmo, lento, in cui molti dei personaggi sembrano vivere quasi solo in nome dei tempi andati, come ad esempio il militare che insegue la cantante in tutti i suoi concerti perché la madre glie l'ha chiesto in punto di morte e che con il decesso (forse) della cantante vede svanire quello che è ormai diventato quasi l'unico scopo della sua vita.
Nashville mi ha dato l’idea del momento in cui si colloca, mi ha infilato questioni nel cervello quasi senza che me ne accorgessi, è un film molto particolare.